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CIPOLLE EVOLUTIVE – AGRO ENCICLOPEDIA

articolo in allestimento

bentornati nell’orto entelekia

oggi vediamo il ciclo biologico della cipolla, tema che manda in crisi anche gli ortolani più navigati, che ancora oggi si domandano: “quando devo seminare le cipolle?” oppure “è meglio piantare i bulbini o le piantine?” e ancora “quando si piantano i bulbi per riprodurre i semi?” fino a “quanto tempo si conservano i semi di cipolla?”

ordunque, sebbene la risposta più realistica, sintetica e diretta sarà sempre: “segui il tuo cuore”, se ci basassimo solo su questo si correrebbe il rischio di far perdere tempo ed energie a molti ortolani ben intenzionati e ricchi di potenziale, pertanto

oggi cerchiamo di fare chiarezza riguardo l’intero ciclo di coltivazione della cipolla, ma prima, una breve contestualizzazione psico-storico-socio-culturale:

ORIGINI

per quanto ci piacerebbe pensare alla cipolla come una delle tante prelibatezze proprie del territorio italico, in realtà sembrerebbe originaria dell’Asia (Iran e Afghanistan) e la sua diffusione pare risalire a oltre 7000 anni addietro, mentre la sua coltivazione sembra aver avuto inizio ai tempi degli antichi egizi.

a quei tempi, in quei luoghi, i popoli avevano santificato la cipolla facendone un vero e proprio oggetto di culto, interpretando i suoi anelli concentrici come simbologia della vita eterna.

il suo forte odore pungente si teorizzava potesse ridare il respiro ai defunti, ma nonostante arrivassero a seppellirle nelle tombe sembra che nessun defunto abbia mai ripreso vita.

una volta averne preso atto, hanno continuato comunque a seppellirle nelle tombe assieme ai defunti, ma questa volta con cambio di destinazione d’uso, come propiziatorio lascia passare per l’altro mondo.

successivamente, nel corso della storia, gli atleti dell’antica Grecia facevano grandi abbuffate di cipolla cruda per alleggerirsi il sangue, mentre Alessandro Magno costringeva le sue truppe a farne grandi scorpacciate per accrescerne la valorosità.

i gladiatori romani invece non ne facevano abbuffate, né scorpacciate, ma se le strofinavano direttamente su tutto il corpo per rassodare i muscoli, o sulla testa per combattere la calvizia.

durante tutto il medioevo la cipolla ha avuto un valore così grande che veniva usata come risorsa sostitutiva del denaro per pagare l’affitto e fare acquisti, ma venne anche offerta in dono come omaggio pregiato.

in fine, ma non per minore importanza, già all’epoca intuivano le innumerevoli proprietà benefiche della cipolla, al punto di considerarla una medicina a tutti gli effetti, usata cruda per lenire morsi di serpenti, emicrania, malattie respiratorie, ustioni, ascessi, infertilità, e tante altre circostanze di infermità.

in particolare si attribuivano queste qualità medicamentose alle cipolle rosse, mentre le gialle e le bianche venivano usate per il soffritto.

ebbene, arriviamo ai giorni nostri, in cui quasi più nessuno la mangia cruda per paura dell’alitosi, o perché pizzica troppo per i moderni palati imborghesiti.

fortunatamente però nei soffritti va ancora di moda, e dunque la coltivazione della cipolla è ad oggi un vero pilastro agricolo nel biodiverso territorio italico.

sebbene l’ortolano medio preferiscsa comprare in vivaio le piantine o i bulbini di varietà industriali, oggi siamo qui per parlare a te, proprio a te che stai leggendo, che affronti l’agricoltura in ottica evolutiva, che conosci l’importanza della riproduzione dei semi, ma che ancora ti domandi “quando si semina la cipolla?”.

ebbene, cominciamo dal fatto che la cipolla è una pianta biennale, ovvero, una volta nata dal semino occorrono due anni affinché possa fiorire e riprodurre i semi.
in mezzo a tutto questo c’è la fase in cu si ottiene la cipolla vera e propria, ma vediamolo nel dettaglio.

PRIMO ANNO – SEMINA

la tradizione vuole che tra la luna calante di agosto e la luna calante di settembre si inauguri la semina, che può essere fatta sia in semenzaio, sia in pieno campo.

essendo il semenzaio un ambiente più facile da gestire nel controllo delle erbe spontanee, si può fare sia una semina a spaglio, anarchica e liberatoria, sia una pettinata semina a file.

invece essendo il campo un ambiente in cui le erbe spontanee crescono alla velocità della luce, in tutta la loro forza primordiale, è preferibile una semina a file per facilitare il futuro controllo delle spontanee.

il seme di cipolla è estremamente piccolo, quindi una volta seminato è sufficiente ricoprirlo con un sottile strato di terreno.

se si semina in semenzaio è buona pratica idratare il substrato di terriccio con una gentile ma sostanziosa innaffiatura.

lo stesso si può dire della semina in campo, ma c’è da considerare che la terra inorganica, una volta bagnata e riasciugata, tende a indurirsi diventando un potenziale ostacolo per la nascita del seme.

questo di per sé non è né bene e né male, poiché da un lato permette la selezione dei germogli più forti.
se però si vuole evitare questa condizione di compattamento, si può anche seminare senza innaffiare, ricoprendo il seme solo con uno strato di terreno asciutto e sciolto, confidando nell’umidità della profondità del suolo (qualora ci fosse).

alternativamente si può anche valutare la semina alveolare, ovvero nei contenitori appositi, mettendo pazientemente un singolo semino alla volta in ogni alveolo.

chi non ha pazienza può fare semine più abbondanti, da 2 o 3 semi alla volta a un vero e proprio spaglio su tutta la padella, in vista di un futuro diradamento o ripicchettamento.

una volta compiuta la semina, entro una decina di giorni si dovrebbero veder spuntare le giovani plantule, emergendo con il loro monocotiledone, prima piegato su sé stesso e poi in fase di distensione, fino al raggingimento della caratteristica linearità filiforme.

col passare del tempo, nel plumbeo e glorioso autunno, una foglia dopo l’altra cresceranno lentamente, dando forma alle piantine vere e proprie.

arriviamo così alla necessità di qualche intervento di manutenzione.

PRIMO ANNO – MANUTENZIONE IN VIVAIO

la semina fatta in pieno campo ben presto necessiterà di una premurosa controllatina capillare alle erbe spontanee in fase di prima crescita.
si può attuare o con la medievale zappa o con il paleolitico spulciamento manuale, o con entrambe in un’ottima combinazione.

questo atto di manutenzione serve a evitare che le giovani piantine si perdano nella selva selvatica, pertanto è propizio ripetere periodicamente questo controllo capillare delle erbe spontanee, ritardando volta dopo volta l’eccessiva crescita delle spontanee, che potrebbero fagocitare le cipolle mettendo a rischio l’esito di tutta la coltivazione.

apparentemente può sembrare un lavoraccio, ma svolto nella contemplazione della compagnia del respiro può diventare molto piacevole.

in questa fase della coltivazione la rimozione delle erbe spontanee è l’unica forma di manutenzione necessaria, almeno per quanto riguarda le piantine nate dalla semina in campo, in cui le cipolle hanno un suolo profondo in cui affondare liberamente le radici, ben idratate dall’uggiosa e plumbea stagione autunnale.

se invece osserviamo le semine fatte in semenzaio, per prima cosa ci accorgiamo che – se ad esempio siamo in serra – occorre innaffiare attivamente e frequentemente per mantenere la giusta quantità d’acqua nel substrato di crescita.

l’innaffiatura è un lavoro certamente glorioso ( se si ha l’acqua a disposizione ), ma ben presto subentra un altro tipo di manutenzione: il ripicchettamento, da attuare possibilmente con delicatezza e contemplazione del respiro, in presenza.

ecco a te un breve tutorial su come effettuare il ripicchettamento in 8 semplice fasi

Simone Lauri disse: “ogni ripicchettamento è un neurone che si esaurisce”, ma ciò non deve dissuadere gli apprendisti dal cimentarsi in questa pratica fondamentale.

grazie al ripicchettamento si da ad ogni singola piantina lo spazio di cui ha bisogno per svilupparsi, a patto che il substrato di terriccio sia stato preparato adeguatamente.

a tal proposito ecco un altro tutorial su come miscelare il terriccio seguendo una ricetta fai da te.

anche le semine a spaglio, effettuate direttamente negli alveoli, si possono gestire con la tecnica del ripicchettamento.
in questo caso c’è il vantaggio della comodità nel prelevare i nuclei di plantule, ben ordinati nella solida zolletta di substrato.

buona usanza è praticare il ripicchettamento quando le plantule hanno raggiunto un minimo di robustezza, ma agendo con la massima delicatezza si possono avere buoni risultati anche se lo si fa allo stadio filiforme.

la dimensione ideale per il ripicchettamento delle cipolle va dalle vaschette da 12 alle vaschette da 6, ma volendo glorificarle si possono anche usare le vaschette da 4.

PRIMO ANNO – TRAPIANTO

col passare del tempo il plumbeo e glorioso autunno cede spazio al galavernico inverno.

le semine fatte in pieno campo, prima o dopo l’ennesima zappatura, sono pronte al trapianto, da effettuare possibilmente tra gennaio e febbraio, affinché l’abbondante umidità stagionale favorisca l’attecchimento delle radici, traumatizzate dall’espianto.

le piantine si possono ora mettere a dimora in nuove file di terreno appositamente preparato, avendo cura di interrarle alla giusta profondità, ovvero fino al punto da cui emerge la piccola fogliolina centrale.

questa tecnica aiuta le cipolle a crescere con maggiore stabilità ed autosufficienza idrica.

per agevolare l’attecchimento si può svettare la parte terminale delle foglie, prima o dopo l’atto del trapianto, così da limitare l’attività fotosintetica e il conseguente richiamo di linfa dalle radici, che trovandosi meno stressate sono libere di radicare in pace.

se si trapiantano le piantine provenienti dal ripicchettamento si possono mettere a dimora con tutta la zolletta di terriccio, oppure, alternativamente, si possono liberare le radici dal terriccio così da recuperarlo per altre semine future.

per esperienza personale posso dire che il trapianto a radice nuda è il più efficace per la cipolla, quindi consiglio di provare a fare un esperimento comparato, mettendo a dimora una parte di piantine con la zolla di terriccio addosso alle radici, e una parte con la radice denudata.

il trapianto si può fare totalmente a mano, oppure con l’ausilio di una trapiantatrice, utile se si coltivano grandi quantità di cipolle in vasti appezzamenti di orto.

usare la trapiantatrice accelera i tempi, ma abbassa il livello della qualità effettiva del trapianto, a causa dell’inevitabile dozzinalità metallurgica.
pertanto si suggerisce l’uso di piantine ben sviluppate, robuste e resistenti.

PRIMO ANNO – MANUTENZIONE IN CAMPO

col passare del tempo il galavernico inverno cede il passo alla primavera sgarzullina, e con il tocco dei caldi raggi della stella madre tutta la natura si risveglia, impetuosa.

in altre parole, a marzo e aprile è tempo di imbracciare più che mai la zappa, e tener pulite le file dalla crescita delle erbe spontanee.

il periodico zappettamento è utile anche per tener dissodato il suolo nell’orizzonte superficiale, favorendo la respirazione delle radici ed – altresì – lo sviluppo dei bulbi.

propizio è cogliere questa occasione per effettuare un rincalzo, riportando parte del terreno sciolto a ridosso del colletto delle piante, fornendo maggiore stabilità ed autosufficienza idrica.

PRIMO ANNO – SELEZIONE IN CAMPO

se si intende affrontare la cipolla in un’ottica di agricoltura evolutiva, e dunque recuperando la semente ad ogni ciclo di coltivazione, arrivati a maggio può essere necessario effettuare una selezione dei bulbi in base al loro comportamento.

la cipolla è una pianta ermafrodita e sviluppa ‘fiori completi’ in grado di autofecondarsi, ma nel linguaggio agricolo tradizionale si distinguono le cipolle “maschio” e le cipolle “femmina” a seconda della loro attitudine nella fase di crescita.

dicesi cipolla “femmina” colei che durante il primo anno di coltivazione concentra le sue energie nello sviluppo di un bulbo sodo, compatto, croccante, rimandando la fioritura al secondo anno.

dicesi cipolla “maschio” (cipollotto) colui che durante il primo anno di coltivazione entra ‘precocemente’ in fioritura, saltando completamente la produzione del bulbo.

gli agricoltori hanno ben presto iniziato a scartare le cipolle ‘maschio’ dalle proprie coltivazioni, selezionando sempre e solo le ‘femmine’, sia per il raccolto e sia per la riproduzione dei semi.

originariamente le cipolle selvatiche avevano un comportamento prevalentemente ‘maschio’, ed è proprio grazie alla selezione agricola che oggi abbiamo ‘le cipolle’ così come le conosciamo ( femmine ).

tornando a noi, al primo anno di coltivazione il nostro obiettivo è arrivare ad un raccolto di bulbi ‘femmine’ sodi e compatti, che rimandino la fioritura al secondo anno di vita.

tenere i semi dalle piante che fioriscono al primo anno di vita significherebbe selezionare una progenie geneticamente predisposta a mantenere questa attitudine ‘maschia’.

per riprodurre una semente che mantenga la femminile biennalità delle cipolle è dunque propizio, a cavallo di aprile e maggio, rimuovere tutti gli esemplari ‘maschi’ in fioritura.

questo atto di estirpazione può essere colto come buona occasione per fare una prima mangiatina di cipollotto fresco.
per gioire appieno dell’esperienza gastronomica è propizio raccogliere i cipollotti quando i fiori sono appena spuntati, poiché più si va avanti con la crescita e più le infiorescenze e gli steli saranno sviluppati, più i bulbi sranno fibrosi, coriacei e scarni, poiché tutta l’energia viene convertita nella fioritura a discapito del bulbo.

con un po’ di pazienza si può facilmente separare la parte legnosa del fusto dalla parte residua del bulbo succoso, ma è un tipo di approccio puramente domestico e casereccio.
per un’azienda agricola sarebbe grave disonore.

PRIMO ANNO – MATURAZIONE

e ben presto la primavera sgarzullina cede spazio all’estate cocente.

arrivati a giugno si può definitivamente smollare la zappa poiché i giochi ormai sono fatti e l’eventuale crescita delle erbe spontanee non dovrebbe incidere sul raccolto.

al massimo potrebbe incidere sull’intima e dinamica relazione tra uomo ed estetica agricola, che in altre parole significherebbe ritrovarsi dopo il raccolto con una fila tutta inerbita.

la tradizione vuole che si attenda la massima maturazione dei bulbi prima di raccoglierli.

in tal senso è bene comprendere la duplice fase della ‘maturazione’:
– ingrossamento ( che avviene tra aprile e maggio );
– essiccazione ( che avviene tra giugno e luglio ).

un inequivocabile tratto fenologico distintivo a indicazione del giusto punto di maturità è l’afflosciamento delle foglie, causato dalla piega del colletto indebolito dalla disidratazione.

a volte però – eccezione alla regola – può capitare che una cipolla afflosci la foglia a causa di un altro raccapricciante motivo, ovvero il rosicchiamento famelico dei topazzi sempre in agguato dalle viscere del sottosolo, pronti a tracannare interi raccolti in una sola notte.

innanzi a questa potenziale circostanza si può valutare la possibilità di raccogliere i bulbi un po’ prima della piena maturazione, poiché meno tempo passano in terra e meno probabiltà ci sono che vengano divorati.

in questo caso ci si ‘accontenta’ di un raccolto parzialmente maturo, dove l’ingrossamento è già avvenuto in campo, e si avrà cura di compiere l’essiccazione in altro luogo appositamente dedicato.
in questo la cipolla è molto permissiva.

un altro esempio in cui può essere necessario raccogliere i bulbi a metà maturazione è quello dei monsoni estivi.

nonostante siano sempre più rari, può ancora capitare di assistere ad abbondanti acquazzoni estivi proprio nel periodo della maturazione, quando i tessuti esterni sono sufficientemente secchi e spugnosi da assorbire impressionanti quantità d’acqua, favorendo il marciume dei bulbi.

anche in questo caso, in vista di eventuali temporali funesti, tantovale anticipare il raccolto e farlo essiccare in zona protetta.

in ogni caso, per non saper né leggere e né scrivere, personalmente preferisco raccogliere almeno parte delle cipolle a metà maturazione, con le foglie metà gialle e metà verdi, lasciando la seconda parte del raccolto per la maturazione piena.

PRIMO ANNO – RACCOLTA E CONSERVAZIONE

il periodo di raccolta dei bulbi è indicativamente tra giugno e agosto, a seconda del tipo di varietà, del tempismo di semina/trapianto, ma anche in base all’andamento della stagione.

ebbene, la tradizione vuole che le cipolle si raccolgano a mano, all’occorrenza aiutandosi con una vanga o un altro attrezzo agricolo idoneo a scalzare la radice dal terreno, qualora fosse molto compatto.

anticamente, una volta raccolti i bulbi, li si mettevano al sole per la fase finale di asciugatura.
tuttavia il sole di oggi è molto più devastante di quanto non fosse ai tempi della tradizione, dunque personalmente sconsiglio di lasciare il raccolto sotto ai cocenti raggi del sole così da evitare ogni possibile danneggiamento.

è preferibile trasportare le cipolle al riparo, in zona ombreggiata, asciutta, e con un minimo di ricircolo d’aria.

una volta completata l’essiccazione si possono conservare sfuse, in cassette, oppure si possono ordinare in gloriose tessiture ordinate, finoa comprre morule, pigne o vere e proprie trecce.

a tal proposito ecco un video tutorial con la nostra tecnica preferita per intrecciare i bulbi di cipolle, aglio e scalogno

per esperienza diretta posso dire che è bene procedere all’intreccio solo quando le foglie sono ben secche.
intreccirae con le foglie ancora verdi può interferire con la conservazione dei bulbi che vanno più facilmente verso la marcescenza a causa del contenuto di acqua ancora troppo elevato.

a volte può capitare che l’eccesso di secchezza renda le foglie così fragili da rompersi sotto alla forza delle piegature dell’intreccio, e quando questo accade è grave disonore.
un trucco per ovviare a questa situazione è permettere una lieve e ben calibrata riumidificazione delle foglie, anche solo spruzzandole vagamente con una leggera nube d’acqua atomizzata. dopo qualche ora i tessuti vegetali tornano sufficientemente elastici per un buon intreccio, e successivamente essiccheranno molto velocemente senza intaccare il bulbo.

volendo prevenire questa circostanza si può procedere all’intreccio quando le foglie sono ad un livello di essiccazione avanzato, ma non eccessivo.

in questo video si vedono nel dettaglio le varie fasi di costruzione strutturale di una treccia, utilizzando la tecnica vista nel video precedente.

PRIMO ANNO – SELEZIONE FUORI CAMPO

col passare del tempo la cocente estate cede il passo al plumbeo e gloriso autunno.

in questo periodo si possono osservare i bulbi nel loro comportamento in termini di resistenza al marciume e di conservabilità.

per tradizione si valorizzano i bulbi più ‘belli’, più grandi, più resistenti al marciume, e più duraturi in termini di conservazione, così da selezionare ‘il meglio’ da cui partire per la nascita delle future ‘piante madri’ destinate alla riproduzione della semente, consapevoli che da essi nascerà una progenie altrettanto eccellente.

SECONDO ANNO – MESSA A DIMORA DEI BULBI

e così, nel pieno della plumbea stagione autunnale, da settembre a dicembre, dopo aver adeguatamente preparato il terreno, si mettono a dimora i bulbi madre selezionati, inaugurando ufficialmente il secondo anno di vita della cipolla.

volendo si può scegliere di coltivare i bulbi in vaso, per stare dalla parte del sicuro e scongiurare sul nascere l’orribile fame dei topazzi, ma anche per avere le piante più a portata di mano, così da poter assistere al meraviglioso atto della rinascita.

e così, mentre il plumbeo e glorioso autunno cede spazio al galavernico inverno, dai bulbi crescono nuove foglie, e nel sottosuolo nuove radici si protendono a scandagliare le profondità della terra, alla rierca di acqua e nutrienti.

SECONDO ANNO – MANUTENZIONE IN CAMPO

man mano che le cipolle madri crescono sane e forti, parallelamente, crescono anche le erbe spontanee, che ancora una volta è bene tener scalzate con l’ausilio della fedele e medievale zappa.

si può cogliere l’occasione per tenere sotto controllo le eventuali gallerie di talpe e topi, demolendole con paziente determinazione.

utilizzando un sesto d’impianto sufficientemente largo, si può passare periodicamente il motocoltivatore tra le file cercando di lavorare il terreno alla massima profondità possibile, così da ottimizzare la demolizione delle gallerie topazziche.

SECONDO ANNO – FIORITURA

e così, con il passare del tempo, il galavernico inverno cede spazio alla primavera sgarzullina.

attorno ad aprile si possono veder spuntare le prime infiorescenze, minute ed umili, come a farsi timidamente spazio tra le fronde fogliari.

arrivati a maggio, qualunque traccia di umile timidezza cede spazio alla vigoria impetuosa delle infiorescenze in pieno sviluppo.

il fusto è solido, a supporto di una mandria di fiorellini che lentamente schiudono dall’involucro che li avvolge.

verso giugno ha luogo la fioritura vera e propria: ogni singolo fiorellino sboccia esibendo con fierezza stami e pistilli, emanando un dolce profumo di nettare molto attraente per gli insetti impllinatori, che arrivano numerosi, specialmente durante le ore più calde della giornata.

e così, passando da un fiore all’altro, da una pianta all’altra, trasportano il polline sulle parti ricettive, compiendo la gloriosa impollinazione da cui prenderanno forma i semi.

essendo la cipolla una pianta che necessita di impollinazione incrociata è fortemente consigliato ( per non dire obbligatorio ) far fiorire insieme almeno 6 o 7 bulbi madre, affinché possano fecondarsi vicendevolmente, dando origine ad una progenie geneticamente eterogenea.

in altre parole, se si fa fiorire una sola cipolla è probabile che non riesca ad auto impollinarsi, e qualora ci riuscisse, la progenie nata dai suoi semi sarbbe geneticamente poco eterogenea, che è comunque meglio di niente, ma dal momento in cui ci mettiamo fare qualcosa tantovale farlo al meglio.

col passare del tempo arriviamo a cavallo tra luglio e agosto, i singoli fiorellini ormai sfioriti hanno gonfiato la capsula ovarica che racchiude i semi in fase di maturazione.

i tratti fenologici per capire quando raccogliere le infiorescenze sono 3:

1 il cambio di colore dei tessuti vegetali, che dal verde dovrebbero virare al biondo paglierino;

2 l’apertura di alcune capsule, che giunte a maturità ritirano i tessuti, abbozzando una parziale schiusura;

3 il colore dei semi, che da verde vira verso il nero.

più tempo si lasciano le infiorescenze in campo e più maturano, ma più maturano e più le capsule si aprono col rischio di perdere molti preziosi semini.

per evitarlo si possono infagottare le singole infiorescenze con del tessuto traspirante, ma più realisticamente conviene raccoglierle un po’ prima che siano totalmente mature.

SECONDO ANNO – RACCOLTA DELLE INFIORESCENZE

la prima volta che ho raccolto le infiorescenze di cipolle da seme ho tagliato solo la parte apicale, trascurando il gambo, poi ho parlato con Antonietta Melillo e mi ha spiegato che la tradizione prevede una ‘raccolta integrale’ con gran parte del gambo attaccato.

questo è utile per fornire ai semi un’ultima scorta di nutrienti nel periodo di essiccazione successivo di circa due settimane, in luogo asciutto e vagamente ventilato.

le infiorescenze si possono raccogliere in mazzi, appendendoli a testa in giù, così da favorire la precipitazione delle sostanze nutritive nei semi.

in questo caso è propizio predisporre un tessuto salva semi, per raccogliere tutti quelli che spontaneamente cascano dalle capsule molto mature.

alternativamente si possono tenere stesi, sempre sopra un telo salva semi, avendo premura di rigirarli periodicamente per favorire l’essiccazione da entrambi i lati.

SECONDO ANNO – SGRANATURA DEI SEMI

a fine agosto dovrebbe essere tutto pronto per la sentificata cerimonia di
sgranatura, potendo fare affidamento sui tessuti floreali ormai croccanti,
fragranti, e cedevoli.

si può procedere con una infiorescenza alla volta, messa tra i palmi delle
mani, strofinandola con dolce decisione, con umile solennità.

a questo punto abbiamo una miscela di semi e frammenti triturati dei tessuti
vegetali secchi, detti “pula”, ovvero tutto ciò che non è il seme
vero e proprio.

si può procedere con la vallatura per separare la pula dai semi, sia
utilizzando setacci idonei alla rimozione della parte grossolana, e sia con il
soffio rifinitore, per eliminare la parte più raffinata e pulviscolare.

il grado di pulizia ideale è pari al 100%, ottenendo una semente
completamente nera e priva di ogni frammento di pula, ma ci si può accontentare
anche di risultati meno precisini, addirittura si può anche conservare
direttamente la semente mista alla pula senza nemmeno vallarla grossolanamente.

questa è una questione di puro gusto personale, ma c’è da dire che più un seme
è pulito e più è ‘sicuro’ che non proliferino parassiti, solitamente annidati
nella pula.

EPILOGO A SCELTA MULTIPLA

ad ogni modo, una volta aver ottenuto il seme più o meno pulito lo si può
prontamente riseminare tra la luna calante di agosto e quella di settembre, come
vuole la tradizione.

i semi che avanzano si possono conservare come scorta per l’anno successivo,
o per i tempi duri.

ogni seme ha una propria capacità di conservazione, variabile da specie a
specie, da varietà a varietà, che termina in corrispondenza di una prevedibile
‘data di scadenza oltre la quale si perde totalmente la vitalità.

ciò che determina il periodo di conservabilità è la degradabilità degli
ormoni della germinazione, ovvero man mano che essi decadono diminuisce anche
la natalità ed il vigore dei semi.

la semente di cipolla conservata a temperatura ambiente può mantenersi
vitale per poco tempo.
dopo 12 mesi dalla raccolta è facile riscontrare un calo della germinazione del
50%, arrivando circa al 10% dopo 24 mesi.
al terzo anno è quasi impossibile che siano ancora vitali, ovvero,
tendenzialmente ‘scadono’ entro 2 anni dalla raccolta.

per ovviare a questa breve conservabilità ci sono due metodi principali:

1 la conservazione in congelatore, a una temperatura inferiore agli zero
gradi centigradi ( che sia -18 o -21 o -35, va sempre bene ) poiché il freddo
aiuta la conservazione degli ormoni della germinabilità.
quando un seme viene messo in freezer o come se ‘uscisse dal tempo’ allungando
ampiamente il suo periodo di conservabilità.
tuttavia bisogna ancora verificare l’effettiva efficacia di questa tecnica con
i semi di cipolla, per vedere realmente di quanto può allungarsi questo periodo
di conservazione.

2 la continua riproduzione della semente, come vuole la tradizione, così da
averli sempre freschi e rinnovati, pieni di vitalità.

RIEPILOGO

la cipolla nasce dal seme, durante il primo anno vegeta fino a sviluppare il
bulbo, da raccogliere e selezionare in vista del secondo anno.
ripiantando il bulbo si entra nella seconda stagione vegetativa, fino a
sfociare nella fioritura e nella riproduzione della semente.

nel primo anno la cipolla impegna le sue energie nell’accumulo deI nutrienti, conservandoli nel bulbo.

nel secondo anno essa si risveglia, utilizzando le risorse accumulate per la fioritura e la riproduzione.

PIANTARE LE CIPOLLE DAI BULBINI / BULBILLI ?

pensiamo ora a quando si piantano le cipolle in bulbillo… che dire ?

i bulbilli sono in verità delle micro cipolline, coltivate in modo forzato per crescere così velocemente da non riuscire a sviluppare il bulbo oltre pochi millimetri.

molti ancora oggi si domandano “perché le cipolle nate da bulbillo fanno ‘il maschio’ andando quasi sempre tutte a fiore” ?

la risposta è molto semplice, sulla base di quanto detto, nascendo dal bulbino è come se percepissero il risveglio del secondo anno, periodo idoneo alla fioritura.

la stessa cipollina nata da bulbino, se viene coltivata con iper concimazioni, allora impegnerà il suo secondo anno di vita a smaltire l’intossicazione da eccesso di nutrienti, diluendoli nei tessuti parenchimatici acquosi (gli strati del bulbo) tramite la ritenzione idrica.

in altre parole, gonfiandosi come qualcuno che si abbuffa di alimenti a cui è fortemente intollerante.

dunque, negli orti in cui non si esagera con le concimazioni, la stessa cipolla nata da bulbino non avendo nessuna intossicazione da smaltire rimane libera di concentrarsi sulla fioritura.

questo non significa che sia impossibile raccogliere delle cipolle ‘femmina’ partendo dai bulbini, ma è facile che siano una minoranza in un mare di ‘maschi’, pertanto è preferibile evitare la coltivazione di cipolle partendo dai bulbini industriali, a meno che non si vogliano raccogliere i cipollotti freschi poco prima della fioritura estiva.

e a proposito di cipollotti, per concludere questa carrellata enciclopedica sul tema della cipolla, è importante comprendre che – partendo dai bulbi interi e ben formati – dall’autunno all’inverno si può appositamente fare l’impianto mettendoli a dimora il più profondi possibile.

tra l’inverno e la primavera i bulbi rinasceranno e vegeteranno vigorosamente, producendo uno o più cipollotti in base alla quantità dei germogli presenti all’interno.

se non si raccolgono essi fioriscono e producono seme, ma se si vogliono valorizzare come alimento è bene raccoglierli entro aprile / maggio, per gioire dei tessuti freschi, croccanti e teneri.

ebbene, che altro dire della cipolla ?

CIPOLLE EVOLUTIVE

il territorio italico vanta decine di varietà antiche, dal nord, al centro, al sud, e ogni ecotipo locale porta in sé un patrimonio storico e agri-culturale da tutelare.

parallelamente la ricerca continua, e con il progetto campomadre noi del team entelekia stiamo lavorando per conservare l’antica biodiversità mettendola a servizio delle generazioni presenti e future.

nel 2022 abbiamo iniziato a darci da fare per realizzare una popolazione evolutiva, mescolando in modo naturale i patrimoni genetici di quante più varietà antiche possibili.

il miscuglio ottenuto dalle varie impollinazioni incrociate sarà poi ridistribuito in tutti gli orti e a tutti i custodi che lo vorranno accogliere, dal sud, al centro, al nord del territorio italico (e forse anche oltre).

nel tempo, coltivazione dopo coltivazione, ogni orto vedrà la selezione e la stabilizzazione graduale, fino alla nascita di nuove antiche varietà plasmate dagli stimoli ambientali, modellati dalle caratteristiche del territorio, fino a presentare nuovi colori, nuove forme, nuovi sapori, nuovi comportamenti, nuove costellazioni organolettiche, a rappresentanza del germoglio potenziale di nuove storie e nuove culture agricole.

se vuoi prendere parte al gruppo di lavoro per la sovranità sementiera puoi scrivere alla mail alessandro.montelli@yahoo.com o al contatto telegram @aesamsa.

se vuoi sostenere il progetto campomadre puoi effettuare una donazione alla nostra raccolta fondi: https://www.gofundme.com/f/campomadreupgrade

per ora è tutto, ti auguro buone semine, buona coltivazione, buon attimo presente.

ti voglio bene

Amphagis 2022 – mani nella terra

Eccomi, questo sono io alla fine di questa avventura, con la faccia stravolta, come provato da un’esperienza estrema. La fotografia è stata scattata dal dolce Seba, un attimo prima che gli offrissi una delle ultime liquerizie rimaste. La stella madre era già alta nel cielo e si faceva sentire forte, con la sua impetuosa amorevolezza. Nel frattempo Fifo e Fra mi stavano per raggiungere con gli ultimi bagagli, pronti a rimetterci in viaggio lungo la strada del ritorno, nella piena consapevolezza che iniziare il racconto di una storia partendo dalla fine non ha alcun senso. Allora, pertanto, possiamo ipotizzare di fare un passo indietro.

“come stravolto da un’esperienza estrema”

Avevamo detto ‘un nuovo inizio‘, ebbene, da quel luglio 2021 passarono circa 4 lune:

la stella madre divenne gradualmente più delicata, il calore discendente lasciò spazio alle gloriose nebbie, tutte da respirare a pieni polmoni nella contemplazione del bentornato autunno, indispensabile come sempre.

Avvenne così, durante una bella giornata decorata da un paesaggio intento in un cambio di abito. Gli alberi avevano perso il caratteristico verde estivo, lasciando sempre più spazio ai pigmenti caldi che giacevano, pazienti, al di sotto della clorofilla.

Arrivò una chiamata del dolce seba, un uomo incontrato nel lontano/vicino 2019 al primo evento condiviso ospitato in orto entelekia. In quel marzo di due anni fa, tra tutti i partecipanti seba fu il primo ad arrivare, e incontrandolo sentii subito un’affinità elettiva. Qualcosa di raro, di esemplare. La sensazione non fu come quando si incontra qualcuno, ma piuttosto come quando si ritrova un vecchio amico che non si vede da tanti anni, trascorsi senza mai smettere di pensarlo.

Dopo quell’esperienza siamo rimasti in contatto, sentendoci ogni tanto, potendo sperimentare l’intensità di un legame umano che trascende lo spazio-tempo. Ogni volta che lo sentivo sembrava passato 1 minuto dalla telefonata precedente, anche se ‘in realtà’ erano passati mesi.

E così mi chiamò, e mi disse qualcosa come: “ale mi piacerebbe aprire il mio orto in piemonte a un’esperienza condivisa, tipo quella che abbiamo vissuto da te in orto entelekia”.

Seguì un istante di silenzio, che interiormente fu un tempo vasto, ampio, in cui poter ascoltarmi profondamente. In cui poter contemplare come mi sento innanzi a questa proposta, dopo quasi 2 anni di introspezione forzata dal periodo pandemico e dalle correlate misure restrittive.

Mi sono ormai talmente abituato alla distanza sociale che una parte di me non si sente pronta a riaprirsi alla ‘vita vera’, al rapporto con gli altri nelle tre dimensioni, eppure.

Un’altra parte di me non stava aspettando altro che un’occasione come questa: la proposta di un’amico che arriva come una mano tesa nel momento del bisogno. Come poter non afferrarla ?

Accolgo la sua proposta, e vista l’incertezza dell’assetto sociale di quel momento ho scelto di non rendere pubblico l’evento, ma di condividere l’invito a un ristretto cerchio di amici, ovvero quelli incontrati online in concomitanza con l’evento “dall’orto all’agroforesta”.

Mandai una mail descrivendo l’evento programmato per novembre 2021, risposero in 3 manifestando la volontà di presenziare: Diegone, la Fra, e Andrea. Un gruppo piccolo, ma denso. Perfetto. Assolutamente perfetto per questo momento.

Novembre arrivò, ci incontrammo tutti in Piemonte dal buon seba e mettemmo mano all’orto di “amphagis” ( il suo glorioso podere ). Per l’occasione presenziò anche il dolce Fifo, altrimenti conosciuto come Pimpiorl Zion ( all’anagrafe Luigi ), e furono giorni indimenticabili.

Questo primo capitolo delle “cronache di amphagis” merita un tempo appositamente dedicato. In quella settimana abbiamo realizzato molti filmati, per un ammontare di circa 1 terabyte di files. In altre parole, abbiamo abbastanza materiale per editare una mini serie a puntate, e stiamo cercando il momento giusto per montare il tutto. Arriveremo anche a questo, e sarà glorioso. Lo sento. Ne ho fiducia.

Per ora, però, non posso fare a meno di dire quanto sia stato prezioso poter incontrare dal vivo delle anime così belle, precedentemente conosciute ‘solo’ attraverso mezzi virtuali. Anche in questo caso è stato come ritrovare delle antiche amicizie. Ci stavamo vedendo per la prima volta, ma ci conoscevamo già, profondamente.

Questa percezione mi ha confermato l’immenso potenziale che abbiamo, in qualità di donne e uomini vivi, nel poter connetterci e instaurare risonanze, simbiosi, alchimie, prima di tutto in un piano di esistenza che trascende la materia e la condivisione di un momento spazio-tempo.

In altre parole, quell’incontro è stato come veder germogliare un seme che era, evidentemente, stato seminato molto tempo prima, durante tutti gli eventi avvenuti online in cui abbiamo respirato a pieni polmoni e ad alto volume il nostro potenziale umano costruttivo.

Quei giorni passarono, fin troppo velocemente, ma lasciarono un segno profondo, bello, lucente, florido. Ci salutammo con la volontà di rivederci, di ripetere l’esperienza a distanza di qualche luna, così da poter dare continuità al frutto del nostro lavoro (che per la cronaca, è stato un lavoro veramente glorioso e monumentale, ricco di minime lavorazioni, ammendamenti organici, piantumazioni funeste di pattern 1, e chi più ne ha più ne metta).

Ci salutammo, rimettendoci ognuno verso la propria strada di casa, contemplando allo stesso tempo un senso di inevitabilità e di ingiustizia. Nessuno di noi avrebbe voluto questa separazione, ma la fiducia di una possibilità futura rende tutto più dolce.

Mentre in furgone col buon Fifo torniamo dal Piemonte alle terre romagnole, attraversando lande plumbee e galaverniche, contemplo il fatto che questa esperienza è stata completamente diversa rispetto a tutte quelle vissute in precedenza.

Ognuno di noi sapeva già cosa fare, non c’è stato bisogno di spiegare nulla, ci eravamo già spiegati tutto durante gli incontri online, e questa occasione è stata la pura volontà di mettere in pratica, fianco a fianco, mano nella mano, occhi negli occhi (e tanto, tanto sudore).

Rientro all’orto entelekia con una consapevolezza aggiornato su quanto sia stato giusto mettere energia negli incontri online, e di come questi tornino utili quando si ritorna a mettere le mani nella terra ed il cuore nelle esperienze dal vivo.

Passa il tempo, anzi, noi passiamo nel tempo, mentre le lune si susseguono ed interiormente porto vivido il ricordo indelebile di questa avventura, misto alla voglia del prossimo capitolo.

La veste autunno-invernale incomincia a trasmutare in un nuovo ciclo di rinascita, con il movimento delle gemme, le fioriture abbondanti ed il tripudio danzante degli insetti impollinatori. Seba ed io iniziamo a ragionare su un potenziale momento buono per il nuovo evento. Maggio ? – ipotizzo – poiché potremmo sfalciare il sovescio piantato a novembre e impiantare tutto l’orto estivo (l’agognato pattern 3). Inoltre – aggiungo – si potrebbe pensare anche a una successiva data di Agosto, così da raccogliere tutte le leguminose, le alliacee ed il grano (il monumentale pattern 1) e sostituirlo con la roba per l’orto autunnale del pattern 2 (finocchi, cavoli, radicchi, porri ecc.).

Ci accordiamo su questo bel programmino, che di fatto non fa altro che far ridere l’universo. Il flusso degli eventi si dispone ben presto in modo da farci saltare la data di maggio, ma la volontà di vederci è forte e scegliamo di non aspettare agosto.

Scegliamo di attuare un’ode alla mediazione, identificando in Giugno un momento tattico in cui poter fare quello che c’è da fare (raccolta di ciò che si era piantato a novembre) essendo però ancora in tempo per una piantumazione di orto estivo tardivo (pattern 3).

Ebbene, in questo modo sollecitato, cavalcando l’onda della riapertura sociale e delle fioriture antropologiche, questa volta concordiamo la volontà di aprire l’invito “al pubblico” del progetto campomadre, e così in 2 e 2 quattro realizzo un piccolo video per comunicare questo lieto evento.

“Mani nella terra” è il codice linguistico che codifica la radice fondamentale di questa iniziativa, all’inno dell’esperienza condivisa, del reciproco insegnamento, trascendendo completamente tutte le logiche dei “corsi” a cui ormai sono allergico.

Un evento aperto a tutti coloro che sentono risonanza con questa possibilità, nella consapevolezza che non ci sarà un insegnante a impartire saggezza agli altri, ma anzi, dove tutti potranno imparare da tutti nel libero confronto.

E così, qualcuno rispose a quel richiamo, mentre la fioritura degli alberi cedevano il passo alla fruttificazione e la stella madre diveniva via via sempre più forte. Man mano che si avvicinavano le date, a volte mi domandavo “ma con questo caldo, chi potrà mai voler venire a fare della fatica in un orto ? saranno pur tutti al mare!”

Ed arrivò il giorno, il buon Fifo (anche conosciuto come Pimpiorl Zion o Luigi) ed io partimmo dall’orto entelekia alla volta del Piemonte sul suo ruggente furgone.

il buon fifo e il buon alì

Fluttuammo attraverso le pianure obnubilate, distorte dalla rovente ferocia dei raggi della stella madre. Poco dopo una prima sosta di rifornimento, facemmo una piccola e doverosa deviazione fino alla stazione di arrivo della dolce Fra, partita alla mattina presto dal Lazio per scavallare gli appennini e mettere il piede, per la prima volta, in terra bolognese.

“siamo in arrivo a bologna centrale”

Fifo ed io compiamo un vero e proprio miracolo ( soprattutto fifo ) ovvero quello di trovare parcheggio, abbastanza vicino alla stazione, sufficientemente grande per il suo furgone ruggente. Al bordo del parcheggio c’è un cartello che avvisa l’entrata in vigore del divieto di sosta alle ore 13, ma sono ancora le 10 e quindi andiamo super tranquilli!

Raggiungiamo l’atrio della stazione, scrutiamo lo spazio in molteplici e progressivi livelli di profondità, scansionando tutto il regno del possibile nel tentativo di riconoscerla nel fiume di viandanti.

Mi ingegno e la chiamo, onorando la tecnologia. Nel momento in cui risponde la vedo uscire dall’atrio dell’ala ovest. Alzo un braccio per farmi vedere e intanto metto giù il telefono, subito dopo aver detto “ti ho vista”.

Ritrovare la dolce Fra in questo Giugno è un lieto evento. Poter nuovamente guardarla negli occhi mi evoca un senso di riconciliazione. Riabbracciandola sento un misto di inevitabilità e giustezza.

Iniziamo un sapido pellegrinaggio, a volte esposti agli impetuosi raggi della stella madre, a volte protetti dai proverbiali portici bolognesi. Vaghiamo alla ricerca di un bar “onesto”, come dice il buon Fifo, in cui poter trovare “storie pregie” per la dolce Fra, affinché possa ricaricarsi.

Mentre camminiamo resto in ascolto, ci osservo, nella materia ed anche in qualcosa che va oltre ad essa. Ascolto l’emozione che mi suscita essere con Fifo e Fra, e non potrei descriverla in altro modo se non “completezza”. Essere nuovamente con entrambi mi fa sentire di essere al posto giusto, con le due anime giuste. Un sentore di gloriosa adunanza. Una coalizione, uniti tutti dallo stesso intento, la cui radice ha origine nel cuore.

È inestimabile, è sorprendente, è una bellissima sorpresa che accolgo con fiducia.

In fine troviamo il bar “onesto” e facciamo rifornimento di costellazioni organolettiche allo stato solido e liquido (brioches e succo di mirtillo) e torniamo al furgone, che nel frattempo ha vertiginosamente sfiorato l’orario del divieto di sosta. “Fìuf!” esclama Fifo, intendendo “per un pelo!” con agginta di gratitudine verso il grande flusso che tutto regola nell’armonia.

Ripartiamo alla volta del Piemonte, sentendoci e riconoscendoci come il nucleo vibrante e compatto del team entelekia seeds 1957, immersi in una bolla di grazia che illumina e protegge la nostra missione.

Fifo, Fra e Alì, pieni di grazia

articolo in allestimento

3 anni in 3 parole: un nuovo inizio – 2019-20-21

Il momento presente, in cui mi sto mettendo a scrivere queste righe, corrisponde alle 13:59 del 2 luglio 2021. Fuori la stella madre brilla impetuosa e sebbene le giornate abbiano già cominciato ad accorciarsi, il mio amato autunno è ancora lontano. Metto le cuffie per ascoltare un sottofondo di pioggia registrato in qualche foresta pluviale. Mi aiuta a superare l’estate.

Quanto tempo è passato dall’ultimo racconto? Quante cose sono successe? E soprattutto, in questo tempo quante cose sono cambiate, fuori e dentro di me? Non riesco a contarle. Forse perché sono troppe, o forse perché in realtà nulla è cambiato a parte il mio modo di osservare.
Potrebbe essere ora di fare un piccolo aggiornamento? Tutte le cellule del mio corpo dicono di sì.

Se volessi riassumere questi ultimi 3 anni in 3 parole, probabilmente sarebbero: un nuovo inizio.

Come diceva Raige ai tempi degli One Mic nella canzone Pioggia (canzone che ha segnato il nostro immaginario musicale in epoca adolescenziale): “ogni inizio inizia da una fine” e forse oggi più che mai mi sento in piena risonanza con questa affermazione.

Iniziamo dal principio, da dove eravamo rimasti.

Era il 21 Settembre 2018, mi avevano appena diplomato alla Libera Scuola onorando la conclusione del mio percorso formativo. Dopo i saluti, calorosi ed affiatati come non mai, riprendevo la strada per il viaggio di ritorno, con il cuore pieno di gratitudine verso tutti i miei compagni di viaggio, e pieno di fiducia verso il fato provvidenziale che, attraverso il filo di questo respiro, stava già tessendo la trama di un nuovo attimo presente pieno di potenzialità.

Ecco, sì, eravamo rimasti qui, però non amo narrare al passato, non in questi racconti, dunque ritorno ad una narrazione nel tempo presente, ma voi sapete che siamo ad Autunno 2018.

Ultimamente mi rendo conto che il mio modo di osservare sta mutando. Se prima quando guardavo gli altri vedevo semplicemente gli altri, ora quando li osservo non posso fare a meno di scorgere al contempo anche una parte di me. Come se “l’altro” fosse anche uno specchio, in cui poter guardare un frammento della mia essenza. In tal senso, tutte le esperienze che sto attraversando a partire da questo 2018 assumono una duplice valenza. Ogni evento, seppur rappresentando sé stesso, al contempo sembra offrire l’occasione per conoscermi sempre meglio.

Settembre 2018, Anna mi dice (citando a memoria): “tra pochi giorni dovrei tenere un corso in Molise, ma le circostanze impreviste non me lo permettono. Essendoti appena diplomato, te la senti di condurlo tu ?”. Questo gesto mi arriva come una grande opportunità, come un grande segno di fiducia da parte sua. Sono stanco, provato dal lungo viaggio, ma ne sono profondamente felice. Accolgo e seguo il flusso.

Mentre dal finestrino ammiro la mutevolezza del paesaggio, che dalla morbida collina toscana cede il passo alle taglienti montagne molisane, contemplo il fatto che senza questo pretesto forse non avrei mai avuto occasione di visitare questa misteriosa regione. Non ho mai viaggiato, ma attraverso le iniziative connesse al mondo dell’agricoltura sto avendo l’opportunità di farlo. È bello conoscere nuove realtà, nuovi paesaggi, così diversi eppure anche così simili alla mia Romagna. È bello incontrare nuove persone, per il piacere di conoscerle, e di specchiarmi nei loro occhi.

In questo momento mi sto specchiando nello sguardo di 7 anime sedute davanti a me, sono i partecipanti di questo corso introduttivo. Siamo nel capanno-laboratorio del podere di Stefania dove stiamo vedendo le basi teoriche su cui si fonda il concetto di orto sinergico. Il Molise è ventoso, almeno in questa zona, troppo ventoso per la mia indole sgiugnola, dunque tutte le volte che posso richiamo il gruppo al coperto, e giù di teoria. Gloriosa teoria, salvifica, sì, perché ci ripara dal vento, ma non solo. Gloriosa teoria, perché permette di accedere ad informazioni preziose, indispensabili per comprendere in modo ampio la complessità di un vasto tema come l’agricoltura. Specialmente quando si intreccia con l’ecologia.

Nel mio caso la teoria è stata molto preziosa, tanto quanto la pratica. Certi punti chiave della conoscenza nozionistica mi hanno veramente svoltato la vita. Quindi ora che sono al primo corso ufficiale gestito in autonomia, scelgo di battere il ferro finché è caldo, spolpando gli argomenti che trovo essenziali e ponendo gli accenti nei punti che trovo prioritari.

Mentre parliamo mi sembra di rivedere nei loro volti certe mie perplessità del passato, tipiche di chi si sta avvicinando per la prima volta a un tema immensamente affascinate, ma sconosciuto. Mentre parliamo mi accorgo che la scelta delle parole è connessa ad una semplice e limpida volontà di fondo: essere il più chiaro possibile così da evitare fraintendimenti. Questa esperienza io l’ho già fatta, ormai diversi anni fa. Mi piacerebbe, se possibile, risparmiargliela. Il fatto di farsi illusioni intendo. Mi piacerebbe potergli evitare la fase in cui l’immaginazione lavora senza freni, perché so che poi la forza di gravità ti riporta coi piedi per terra, e a quel punto dipende tutto da come atterri.

I principi di Fukuoka, così come quelli di Emilia, o di Bill, sono pochi e semplici. Eppure basta poco per fraintenderli. Ci vuol niente a capire fischi per fiaschi. A me è già successo, ormai 6 o 7 anni fa.

Durante i 4 giorni che abbiamo a disposizione cerco di fare il possibile per trasmettere ai 7 partecipanti tutto quello che posso, tenendo frenata la mania di onnipotenza e rimembrando una semplice verità: “io posso fare solo quello che posso fare, dopodiché sarà la loro esperienza con la Terra a fare il resto” mi dico “e se vorranno io sarò sempre a disposizione per una chiacchierata, per un confronto, per un chiarimento – o se proprio vogliono – per parlare d’amore. (cit.)

Mentre questa esperienza mi attraversa – come il flusso di un ruscello – nel metaforico setaccio interiore ritrovo due piccole pietre preziose, trattenute dalla corrente. Sul treno di ritorno verso la Romagna – tra me e me – le osservo. Ne contemplo i colori, le sfaccettature, scorgendo al tempo stesso anche il mio riflesso, frammentato tra le crepe e le venature del minerale.

Tutto è andato bene – mi dico – tutto è andato… come sempre! Anzi.

Tutto è andato quasi come sempre. Ebbene non posso fare a meno di osservare un fatto (una di queste metaforiche pietre rimaste nel setaccio) ovvero che per quanto io abbia cercato di fare tutto così come mi è stato insegnato, comunque – inevitabilmente – ci ho messo del mio. E mettendoci del mio, comunque – in qualche modo – ho leggermente cambiato il messaggio che dovrei tramandare. Non è cambiato nel contenuto, ma nella forma. Non nell’intenzione, ma nel modo di essere trasmesso. Mi ascolto dentro e mi sembra una cosa bella. Penso ai miei insegnanti, Antonio e Anna, e mi chiedo se sarebbero fieri di me. Gli scrivo per raccontargli questi 4 giorni, cerco di trasmettergli l’atmosfera che si respirava. Sembrano felici, mi appaiono felici, ma non sono sicuro di riuscire a trasmettergli questo piccolo e significativo dettaglio.

Non so se sto riuscendo a fargli vedere esattamente il colore e le venature di questa piccola pietra preziosa, che non potrei chiamare in nessun altro modo se non: evoluzione.

Mentre il paesaggio molisano cede il passo a quello romagnolo; le montagne – talmente ripide da conficcartisi nella schiena – cedono il passo alla buona vecchia bassa pianura. In questo frangente affiora un’idea, una potenzialità: aprire l’orto Entelekia alle visite, mettendolo a disposizione come luogo di divulgazione, così da poter favorire le persone interessate a rimettere le mani nella terra, ricostruendo un filo con la tradizione agricola.

Questa possibilità è proprio come un seme nel naturale ciclo delle stagioni. Dopo il concepimento rimane in dormienza fino alla primavera 2019 in cui sboccia con un primo gruppo di 6 persone che approdano all’orto Entelekia aprendo la strada ad una serie di eventi a cadenza mensile. A volte arrivano 6 o 7 persone, a volte 2 o 3, in due occasioni ne viene una, beccandosi un corso intensivo super accelerato.

Complessivamente per quest’anno, da marzo a settembre, ho avuto il piacere di incontrare circa 40 persone. Ogni volta entrare in contatto con ognuna di esse è stato in qualche modo disarmante. L’atto di umiltà che praticano persone più grandi di me nel predisporsi ad apprendere da qualcuno di più giovane è un fenomeno degno di nota. L’umana empatia che scorre in questi incontri, è un fenomeno decisamente degno di nota. Questa volontà di sottofondo, ancorata al favorire gli altri nell’avvicinamento alla terra riducendo al minimo l’attrito del fenomeno illusione/delusione, è certamente degna di nota. E lo è altrettanto il fatto che – mese dopo mese – il mio modo di comunicare è via via sempre diverso. In questo 2019 sono testimone di una continua evoluzione – di una perpetuata entelekia – che ha luogo attraverso questi incontri.

Ogni volta, dopo ogni evento, informo Antonio ed Anna rendendoli partecipe della bellezza di ciò che sto vivendo, ma ancora sento che forse non sto riuscendo a trasmettergli quanto profondamente stia cambiando il mio modo di trasmettere il messaggio. Inizia ad essere abbastanza diverso rispetto al loro insegnamento di partenza. Lo vedo sempre più chiaramente: il cambiamento avviene non nella sostanza e non nell’intenzione, bensì nella forma e nella modalità di divulgazione. Prima seguivo loro, mettendomi a servizio della loro voce. Adesso – inevitabilmente – sono a servizio della mia.

Osservo la realtà che mi circonda. Osservo i nostri dialoghi, le risposte che ricevo. La variazione di tonalità. Osservo certi specifici silenzi, certe esitazioni. Osservo l’aria e l’odore che sembra assumere quando cerco di affrontare questo discorso durante le telefonate. Ai miei occhi sono tutti elementi nuovi che in passato non riscontravo. Forse perché non c’erano? O forse c’erano, ma il mio sguardo non era abbastanza affinato? Ma ora ovunque rivolgo l’attenzione scorgo il frammento di un riflesso. Sommando tutti i frammenti ne deriva una percezione: il dubbio che questa cosa possa non piacergli. Il pensiero che i miei insegnanti possano non essere felici del modo in cui trasmetto il loro messaggio. Del modo in cui esso stia evolvendo attraverso di me. A pensarci sembra un timore così irrazionale, eppure la mia pancia dice il contrario.

Parallelamente accadono tante altre cose, troppe da raccontare in queste righe. Troppo dettagliate per poter prenderle in considerazione senza perdere di vista il filo del discorso. So che forse non vi sembra, ma questo discorso ha un filo ben preciso.

Giunto a Ottobre 2019 ormai è come se tutto mi stesse dicendo di fermarmi e di cercare l’occasione per confrontarmi con Anna e Antonio. Per telefono, a distanza, sembra molto complesso capirsi. Il flusso degli eventi ci da una prima possibilità di dialogo nell’incontro annuale della Libera Scuola, questa volta siamo al podere del buon Michele. Da un lato è bello ritrovarsi in terra di Romagna. Dall’altro, si sente proprio che questa pianura sorge su una palude! Quando ci incontravamo in collina, mi dico, l’aria sembrava più frizzante. Sarà la densa nebbia, saranno gli alberi spogli, sarà l’umidità, ma sta volta la bassa si fa sentire in tutta la sua bassezza.

In questa occasione purtroppo Anna non ha potuto presenziare. Cerco di cogliere un momento idoneo per confrontarmi con i presenti. Vorrei rimettermi in discussione e condividere con loro la mia evoluzione nel fare divulgazione. Mi piacerebbe capire chiaramente cosa ne pensano, ma gli argomenti all’ordine del giorno sono tanti e non riesco a trovare il momento idoneo per parlarne. Non come vorrei. Non come avremmo bisogno.

Troppo presto arriva il momento dei saluti, ci diciamo che questi incontri sono sempre così veloci, e che dovremmo farne di più. Incontrarci una o due volte all’anno è troppo poco, sarebbe bello vederci ad ogni stagione. Proponiamo di organizzarci per il 2020. Ricreare più incontri ci aiuterà ad armonizzarci più spesso e ad essere un gruppo unito. Ci salutiamo con questo intento, una mattina di novembre mentre il cielo è plumbeo e una coperta di nubi dense filtrano i raggi della stella madre creando una luce argentea, che permea ogni cosa e non produce ombre. L’atmosfera è incantevole, ma nella mia pancia l’energia è bassa come la pianura, o come la palude.

Il prossimo incontro in programma è per Aprile, dovremmo trovarci da Antonio in Piemonte. Che bello, mi dico, non ho mai visto il Piemonte! Già pregusto un Aprile sognante e soleggiato tra colline, montagne ed aria frizzante. Mi sento molto propositivo. Ho molta fiducia, ma ben presto arrivano le prime notizie dell’avvento pandemico con le conseguenti restrizioni sociali.

Siamo a Marzo 2020, è sera, hanno appena annunciato ufficialmente l’inizio del primo lockdown. Qualcuno dice che saranno solo poche settimane, qualcuno dice che non si può sapere. Se ascolto la pancia sento che questo è l’inizio di un cambiamento epocale per la nostra società, in cui sarà necessario adattarsi. “Adattamento è resilienza, ce lo insegnano le piante, ce lo insegna la Natura” mi dico.

In questa notte senza luna e senza stelle, nel letto penso tra me e me: “sarà il caso di adattarmi a questo cambiamento e magari iniziare a pensare alla vaga possibilità di organizzare qualche evento di divulgazione … online ?!”

Subito dopo mi affiorano un cascata di dubbi, di interrogativi, di problemi apparentemente invalidanti. Del tipo: “eh, ma l’agricoltura mica la si può far capire attraverso il computer” ; oppure: “eh, ma se non si fa un’esperienza dal vivo viene a meno l’essenza più vibrante della divulgazione da essere umano ad essere umano” ; e ancora: “eh, ma già è difficile far capire le cose in 4 o 5 giorni di presenza, figuriamoci attraverso uno schermo senza poter mettere le mani nella terra!“. Insomma, sembra meglio lasciar perdere, senza neanche provarci.

Mi sveglio al mattino, il primo pensiero è volto alla sopravvivenza. Valuto le incognite del periodo che ci attende e conteggio mentalmente i semi a disposizione nel freezer improntando una bozza di programma per coltivare quanto più cibo possibile in modo da valorizzare al massimo lo spazio e il tempo.

Il secondo pensiero richiama quanto contemplato durante la notte: “sarà mica il caso di fare qualche prova di evento online?” l’idea di fermare la divulgazione a causa del lockdown mi rattristava troppo. “Proprio perché siamo in crisi mondiale” – mi dico – “è il momento di facilitare al massimo la divulgazione, così da fornire mezzi teorici e pratici a quante più persone possibile. Così da favorire la coltivazione di balconi, terrazzi, orticelli, giardini, aiuole, aiutando le popolazioni a diventare più resilienti”. Questa, in sintesi, è la forma del mio secondo pensiero.

Apro la mail e leggo un messaggio di due ragazzi, due fratelli, Andrea e Daniele, i quali mi sottopongono un semplice e tagliente quesito: “ciao Alessandro, vorremmo sapere se tu fai corsi o webinar online”. Non posso fare a meno di leggerlo come un segnale. Se ascolto la mia pancia, questa mail è come una porta che si apre verso un nuovo orizzonte. L’impulso è irrefrenabile, la mia risposta è affermativa e da questa scintilla nasceranno degli incontri gratuiti mensili sperimentali, inizialmente di 4 o 5 giorni, per finire ad arrivare alle 2 settimane abbondanti (ciascuno). Tutto questo ha poi dato vita all’evento online iniziato da dicembre 2020 intitolato ‘dall’orto all’agroforesta’.

Mettermi a servzio per questo percorso, per questa sperimentazione (che ancora oggi sta evolvendo) è stato inestimabile. Sono felice e fiero di aver fatto le scelte che ho fatto, poiché da esse è fiorita un’evoluzione inimmaginabile che ha superato di gran lunga ogni aspettativa. A seguito di questi incontri online la divulgazione è potuta continuare, espandendosi a livello nazionale ed internazionale. Inizialmente decine, e poi centinaia e migliaia di persone hanno potuto ricevere il materiale divulgato liberamente, mettendo in pratica le informazioni trasmesse, fino a ottenere risultati molto concreti.

Con questa esperienza è stato segnato un precedente. Una cosa del genere non era mai successa prima, ma facciamo un passo indietro. Torniamo all’inizio del primo lockdown, torniamo al Marzo 2020, con una narrazione al tempo presente.

A seguito dei primi eventi online, carico di entusiasmo per la sperimentazione in corso e per i primi feedback altamente positivi, condivido questi risultati con tutto il gruppo della Libera Scuola durante un incontro avvenuto sul web (appunto per via della situazione pandemica). Mi esprimo, racconto con entusiasmo, ma in risposta ricevo principalmente silenzio, quel tipo di silenzio che forse sottintende un vago dissenso. Dopo qualche giorno a rompere il silenzio è proprio Anna, esprimendosi contraria alla divulgazione dell’agricultura sinergica attraverso eventi online, soprattutto se questi portano il nome della Libera Scuola. Mi invita a rispettare una lenta procedura per regolamentare ed ufficializzare questa sperimentazione, ma l’attrito di un iter burocratico mi sembra fuori luogo. “Il cambiamento è adesso, la pandemia è adesso” – mi dico – “la necessità è adesso. In qualità di libero insegnante diplomato alla Libera Scuola scelgo di non frenarmi, e di portare avanti la sperimentazione” – forse ho troppa fretta, e qualcuno dice che in agricoltura naturale la fretta non è mai una buona cosa, ma non credo sia solo fretta. È più un’urgenza, la stessa che ha una gemma quando arriva la temperatura giusta per la fioritura. Non posso fare a meno di seguire questo impeto, e così continuo.

Parallelamente arriva l’estate, la stretta sulle limitazioni sociali si allenta, tutto ricomincia parzialmente a fluire e si riapre la possibilità di vivere esperienze in presenza. Emanuele, colui che ci aveva accompagnati a Corricelli, propone ad Anna e me un corso di 4 giorni a Cori in cui farci presenziare come co-docenti. Anna è ben disposta a questo incontro, ed io lo sono altrettanto. Ci diciamo che sarà una bella occasione per guardarci negli occhi e metterci in gioco, riarmonizzandoci, o dissonando definitivamente.

Le confesso che per me questo incontro sarà una nuova possibilità di essere ‘messo sotto esame’, ma questa volta mi ci metto volontariamente. “E sarà bello, e denso di significato” – le dico – “farmi esaminare proprio da te, che sei la stessa persona ad avermi conferito il diploma 2 anni fa”. Da un lato cerco di prepararla psicologicamente dicendole “Guarda Annarì che mi vedrai fare cose proibite nell’agrcultura sinergica, sei pronta?” e lei risponde con i suoi “Alessà, e fa un po’ come te pare!” volti a smorzare la mia insostenibile solennità.

E insomma, arriva il tanto atteso corso. Fa un caldo bestiale, ci ripariamo come possiamo all’ombra del vigneto e degli alberi adiacenti all’orto. Spieghiamo ai partecipanti che l’esperienza sarà condotta da Anna, che porta una modalità di approccio un po’ più classicheggiante, e da me, che invece porto una modalità un po’ più sperimentale. Li invitiamo a osservare in modo dinamico entrambe le ‘scuole’ prendendo da ognuna le cose migliori per loro. E via, il gruppo si divide in due, una parte segue Anna, una parte segue me, alternandosi periodicamente così da avere la visione d’insieme il più veritiera possibile. A tratti mi sembra un’esperienza simile a quella di Maccarese, ma se in quel contesto ci tenevo molto ad entrare a far parte della Libera Scuola, questa volta sono totalmente sereno all’idea di prendere un calcio nel culo accademico.

Mentre il team Anna prepara le prime aiuole rialzate, come vuole appunto la scuola della proverbiale Aiuola Alta, il team Ale ci da giù con la forcavanga a spianare delle aiuole in piano, in linea con il pattern estetico morale dell’orto Entelekia. Mentre da un lato si srotolano i balloni di paglia per comporre una scintillante pacciamatura leggera, dall’altro si lacerano sacconi di segatura per iniziare ad improntare una greve pacciamatura pesante.

Ci sono anche i momenti di teoria, in cui mi alterno con Anna che propone i video di Emilia e le testimonianze della sua grande esperienza con gli orti scolastici, mentre io mi trovo a proiettare alcuni video di Fukuoka e di Ernest, per cercare di chiudere il cerchio. Avrei portato un proiettore per fargli vedere delle slide appositamente preparate, ma a causa di un problema tecnico (un’incomprensione) alla fine mi sono ritrovato a portare un rotolo da architetto con dentro 30 gigantografie cartacee. Per la cronaca, le stesse slide sono diventate poi la base per le prime due giornate dell’evento online ‘dall’orto all’agroforesta’.

Sul finale, mentre il team Aiuola Alta è già passato a semine e trapianti, il team Entelekia sta ancora preparando il suolo, manca però il letame. “Il letame?!” domandano, sconquassati, alcuni partecipanti. “Il letame ragazzi, il letame!” rispondo “avete presente il ciclo dell’Azoto? il letame!”. Per nostra fortuna troviamo un maneggio subito dietro la collina, e con la gentile assistenza di Elisa, una partecipante, vado personalmente a caricarne due barili. Meraviglioso letame equino.

Così, mentre agisco, mi osservo da fuori, e osservo le reazioni degli altri. In particolare quelle di Anna. Cerco di leggere in anticipo quale sarà l’esito di questa esaminazione. Già mentre esponevo le slide autoprodotte, mentre forca-vangavo le aiuole in piano e mentre stendevo il cippato, percepivo un silenzio vagamente dissenso. Ma quando abbiamo aperto il bidone del letame le ho visto proprio sgranare gli occhi.

Arrivati al termine di questa avventura i partecipanti ci danno un feedback prezioso, sono tutti d’accordo sulla bellezza e sull’importanza della diversità. Sono complessivamente felici per aver ricevuto due stimoli diversi che li incita a rimanere con la mente aperta. In molti dicono che se così non fosse stato, si sarebbe probabilmente fossilizzati su un singolo metodo.

Arriva il momento dei saluti, una decina di persone che fino a pochi giorni fa erano estranee, ora riprendono le loro strade portando con sé un’inevitabile connessione inestinguibile. Prima della mia partenza Anna e io ci confrontiamo. Sono tutto orecchie, pronto all’esito. In sintesi, mi dice: “Alessà, Emilia ci ha insegnato un’altra cosa. Non usava il letame, non usava il cippato, e faceva le aiuole alte”. In altre parole, dico io: “bocciato!”.

Tutto questo poi va a sommarsi a tante altre dinamiche simili e diverse, ma anche in questo caso prenderle in esame dettagliatamente significherebbe allontanarci dal filo del discorso, che invece ora voglio portare verso una conclusione.

Ricordate quello che dicevo quando mi trovavo per la prima volta a casa di Anna ? Il discorso sull’albero in via di sviluppo; il fatto di sentire nitidamente di essere parte di un organismo in fase di crescita, ben radicato a terra e con i rami in continua espansione? Vi ricordate ? Ecco, ora vorrei esprimermi senza giudizio, osservando nel modo più oggettivo possibile ciò che semplicemente è l’andamento degli eventi. Così come si potrebbero osservare i movimenti dei flussi e dei processi biologici nella vita di un albero in crescita. Magari proprio di quell’albero in continua espansione.

Devo dire che più passa il tempo e più mi sembra che in realtà abbiano sempre tutti ragione. Le persone discutono, portano argomentazioni differenti, eppure sembrano dire la stessa cosa, ma con differenti parole.

Mi viene in mente un’antica storia indiana, raccontata da Prem Rawat durante una conferenza:

Ci sono 4 uomini non vedenti che camminano lungo la strada e per la prima volta nella loro vita incontrano un elefante, accompagnato da un piccolo uomo.

Si rivolgono a lui chiedendogli di poter toccare l’elefante, così da capire finalmente com’è fatto. Il piccolo uomo acconsente e li fa avvicinare.

Il primo uomo tocca la proboscide; il secondo uomo tocca un orecchio; il terzo uomo tocca una zampa e il quarto uomo tocca la coda. Ringraziano e proseguono il cammino.

Poco dopo, il primo uomo (che aveva toccato la proboscide) dice: “ragazzi! non l’avrei mai detto che un elefante avesse la forma di un lungo ramo ricurvo!”. Il secondo uomo (che aveva toccato l’orecchio) risponde: “ma cosa dici? l’elefante ha la forma di una grande foglia di banano!”. Il terzo uomo (che aveva toccato la zampa) esorta: “vi sbagliate, l’elefante ha la forma di un grosso tronco” ed il quarto uomo (che aveva toccato la coda) conclude: “no ragazzi, l’elefante è come un sottile serpente che termina in un ciuffo di pelo”.

I quattro uomini continuarono a camminare, discutendo e portando quattro argomentazioni diverse, eppure tutte vere, filtrate dal fatto che nessuno di loro poteva vedere la vera forma dell’elefante.

Ecco, riportando questa morale al nostro contesto: non penso che qualcuno abbia più ragione di qualcun altro. Non penso che sia meglio la ‘scuola entelekia’ rispetto alla ‘scuola aiuola alta’ o qualunque altra scuola. Non trovo ci siano verità più vere di altre. Penso che abbiamo tutti ragione, ognuno ha una piccolissima ed attendibilissima parte di ragione.

In quanto esseri umani imperfetti (e perfetti nella nostra imperfezione) forse siamo destinati a questo. A non poter osservare razionalmente la realtà nella sua immensa totalità, ma possiamo solo (o addirittura) osservarla parzialmente: chi la proboscide, chi l’orecchio, chi la zampa e chi la coda.

Per questo quando si ha a che fare con gli altri è importante darsi dei feedback periodicamente, per questo è importante capire se si sta continuando ad osservare la stessa parte della realtà. Capire se si sta cercando di raggiungere la stessa destinazione, se si è mossi dallo stesso intento. Se si risuona nella stessa frequenza di base. In fondo dalla zampa alla coda il passo è breve.

Morale della favola:

da quando mi sono avvicinato all’agricoltura con la volontà di fare divulgazione, per me è sempre stato prioritario il fatto di rendere le cose facili e pratiche, a costo di sovvertire principi, insegnamenti, tecniche, tutto. I miei insegnanti e amici della Libera Scuola invece hanno un intento simile, ma diverso. Da quello che mi sembra di aver capito, loro vogliono trasmettere l’insegnamento che hanno ricevuto da Emilia, così come gli è stato tramandato. A pensarci bene, in effetti, questa cosa l’avevo anche letta da qualche parte sul loro sito, e forse anche in qualche libro e/o sentita in qualche video/intervista. Eppure all’epoca questo fatto non contava molto per me, poiché pensavo che sarebbe stata possibile una convivenza, o forse semplicemente non avevo occhi per vederne l’insormontabilità.
Dal mio canto è anche vero che sono stato chiaro fin da subito, dal momento in cui mi sono presentato al primo incontro con una tesina scritta nero su bianco, ricca di argomentazioni evolutive. Ero già allineato su questa volontà anche quando mi diplomavo a Corricelli con la stessa medesima tesina.

A pensarci, era tutto già molto chiaro, eppure, non c’era la circostanza per prenderne atto. Forse la mia indole mi porta a cercare di evitare le separazioni, a non mollare mai, a costo di strapparsi le braccia. Tanto che ci è voluta una lettera di espulsione ufficiale per convincermi a prendere la mia strada. In coincidenza con l’espulsione ho sentito di dover slegarmi dalle formule linguistiche codificate da altri, e ho finalmente deciso di coniare un codice linguistico che rispecchiasse semplicemente il mio modo di intendere l’agricoltura. Così nacque il concetto di “Agriculture Evolutive”.

Ad una prima lettura può sembrare una brusca separazione, ma secondo la metafora dell’albero forse è semplicemente servito il giusto tempo, affinché la linfa grezza potesse essere assorbita dalle radici, trasformata nell’attività fotosintetica e reindirizzata verso la fioritura e la produzione del seme.

E a chi oggi mi chiede “Alessandro ma tu non facevi parte della Libera Scuola? Come mai avete preso strade diverse?” penso che risponderò:

Nel momento in cui il seme è pronto può iniziare l’entelekia – non un attimo prima e non un attimo dopo . Quando è pronto compie un salto di fede e prende il volo verso un viaggio di non ritorno, portando in sé un nuovo codice genetico, verso un nuovo orizzonte in cui radicare e far evolvere la sua specie. Il seme è nel giusto quando prende il volo; e così anche l’albero madre è nel giusto rimanendo radicato lì dov’è. Ognuno fa la cosa giusta seguendo la propria natura. Hanno tutti ragione ed è tutto perfetto.

Anche se abbiamo preso strade diverse, Anna e Antonio saranno sempre i miei insegnanti. Gli sarò sempre profondamente grato e gli vorrò sempre bene, così come ne vorrò a tutta la Libera Scuola. Resto aperto alla possibilità di riabbracciarli il giorno in cui la vita decidesse di intrecciare nuovamente il nostro cammino. Non posso fare a meno di contemplare il fatto che senza di loro, senza averli incontrati, certamente oggi non sarei quello che sono.

Mentre scrivo queste parole l’orologio segna le 23:28 del 2 luglio 2021.

Un altro respiro arriva, e con esso, un nuovo inizio.

Terriccio Universale fai da Te (tutorial)

Saper fare il Terriccio è fondamentale, e fortunatamente..

è Facile!

ma … Come fare?

Una buona Ricetta può fare la differenza tra un risultato Glorioso e uno Disonorevole.
In questo Tutorial vediamo Come Fare, a partire dagli ingredienti e dai principi essenziali per realizzare un ottimo Terriccio Universale con cui Onorare il Semenzaio ed il Vivaio domestico.

Bentornati nell’Orto Entelekia!

Oggi parliamo di come realizzare il Terriccio Universale, elemento indispensabile per coltivare piantine per Orto e Giardino in una logica di Gloriosa Autoproduzione

Cos’è il Terriccio?

Ebbene, il terriccio è una semplice MISCELA composta da più Ingredienti.

La tradizione contadina ci insegna la possibilità di realizzare un ottimo terriccio a partire da Umili Risorse messe a disposizione da un normale Ambito Rurale

Dall’alba dei tempi dell’agricoltura un ingrediente imprescindibile è certamente un buon Concime Organico:
che sia di origine animale come un buon letame maturo, o che sia di origine vegetale come un buon compost domestico

Ma perché il concime?

Qual è la sua funzione?

Proprio come noi, anche le piante sono organismi che hanno bisogno di nutrimento per crescere e per vivere in salute. Ed è proprio questo il ruolo del concime: mettere a disposizione Nutrienti Solubili immediatamente Disponibili per le piante

In questo contesto è importante osservare come il concime sia appunto una frazione ORGANICA del terriccio


Cosa vuol dire Frazione Organica?


Vuol dire che a monte del processo di alchemica trasformazione e decomposizione, c’erano risorse a base di CARBONIO, per cui tutto ciò che deriva dal regno animale e vegetale

Qui all’Orto Entelekia, come primo luogo dove andare a recuperare il concime organico abbiamo il Bambuseto, piccolo ecosistema colonizzato dalle nostre Giurassiche Galline; luogo in cui inevitabilmente vanno a sommarsi gli scarti vegetali, con le loro deiezioni

Ne deriva in fine un buon Compost che posiamo recuperare proprio dalla Lettiera del Bambuseto stesso

Come si può vedere però, la materia Grezza è appunto Grossolana

In questa fase è importante SETACCIARLA, e per questa semplice (ma efficace) operazione, tornano molto utili le cassette di plastica che possono garantire una setacciatura più o meno Raffinata in base alla griglia sul fondo della cassetta stessa

In questo caso preferiamo utilizzare un setaccio a Maglia abbastanza Fine, per escludere la maggior parte della frazione grossolana, destinando al terriccio la parte più raffinata, ovvero quella più decomposta, quella con più nutrimenti disponibili per le piante, quella con la granulometria un po’ più facile da mescolare con gli altri ingredienti

Il residuo che rimane intrappolato nel setaccio, non facciamo altro che ridarlo alla grande compostiera, in modo che – attraverso il flusso del tempo – anch’esso arriverà poi a decomporsi, diventando quindi il prossimo compost che utilizzeremo

a questo punto sorge la domanda:

Ma.. possiamo utilizzare

SOLO il Concime

per produrre le Piantine ?

effettivamente … NO

poiché un eccesso di nutrimento potrebbe facilmente Bruciare le radici e quindi comprometterne la crescita, o ancor peggio, la vita

Da qui nasce la necessità di Diluire la presenza di questo concime, inserendo quindi almeno un altro ingrediente, che la tradizione contadina ci insegna essere la Terra Madre, ovvero la frazione INORGANICA del suolo


Cosa vuol dire Frazione Inorganica?

Vuol dire che all’origine della decomposizione vi era la Roccia Madre, per cui una frazione esclusivamente costituita dalla componente Minerale (il mattone fondamentale della roccia)

La Terra Madre è quella che possiamo andare a identificare nell’orizzonte B della stratificazione del suolo classificata dalla pedologia

Oltre alla funzione di diluizione, l’elemento terra inserito nel terriccio, ha anche lo scopo di far AMBIENTARE le piantine fin da subito, fin dai primi momenti dai nascita e di crescita, a quello che sarà effettivamente il loro Habitat Definitivo.

Per questo risulta interessante prendere dei Campioni di Suolo da vari punti dell’orto in modo da ottenere una rappresentazione il più possibile veritiera di quello che è lo Stato Complessivo del Terreno.

Certamente, inserire questo ingrediente è in qualche modo anche un ‘moto di onestà‘ verso le piantine, cioè: coltivarle solo in un terriccio organico e nutrito, per poi trapiantarle in una terra inorganica e magari argillosa / pesante, sarebbe in qualche modo – se vogliamo – ‘sleale

Invece,

patti chiari e amicizia lunga

sappiate, o piantine, che questa parte del terriccio in cui vi trovate a nascere, è ciò in cui dovrete andare a vivere
Anche in questo caso è importante Setacciare questo ingrediente, proprio per escludere la parte più ‘cudalosa’, più troccolosa, e quindi più avversa all’attività biologica dell’apparato radicale di una pianta

Mantenendo così principalmente quella più Raffinata, più facilmente rimescolabile ed amalgamabile con gli altri ingredienti

C’è però da tenere in considerazione un fatto:

che Storicamente proprio a causa della Potenza del Nutrimento normalmente contenuto dal concime organico si è sempre preferito mettere un po’ meno concime e un po’ più terra madre, proprio per Evitare che le radici possano bruciarsi dall’eccesso di nutrimento

ma se la terra madre di partenza è troppo Pesante (limosa o argillosa) questo farà si che il terriccio alla fine tenderà a COMPATTARSI

e qui entra gloriosamente in gioco il terzo ingrediente

ovvero un elemento che ha principalmente lo scopo di DILUIRE la miscela, Migliorando entrambi i Punti Deboli di entrambi i primi due ingredienti principali.

Un componente perfetto per questo scopo è sicuramente la Torba di Sfagno Neutra (magari con aggiunta di un po’ di sabbiolina)

in questo caso, Neutro è un termine che si riferisce all’essere povero di nutrimenti, per bilanciare il concime, essendo però al tempo stesso fortemente organico, per bilanciare la frazione minerale

Volendo, si potrebbe anche scegliere di non utilizzare la torba, bensì, di autoprodurre delle sostanze organiche neutre, facendo decomporre ad esempio in autunno dei cumuli di Foglie Secche o di Cippato di Pura Legna, lasciandole riposare qualche mese, fino a completa decomposizione

è importante ricordare che raggiungere l’autoproduzione totale per gli ingredienti del terriccio è una cosa facoltativa, potenzialmente molto interessante da raggiungere nel tempo, ma è bene arrivarci poco alla volta.

A mio parere, la cosa più importante è comunque quella di darsi la possibilità di

vivere un’esperienza

mettere le mani nella terra, far nascere i semi, assistere al miracolo della vita e alla magia della natalità

questa è la cosa più importante, è questo che concretamente mi aiuta a connettermi alla terra e alla natura circostante, poi c’è tempo per migliorare nell’autoproduzione degli ingredienti, per cui ci tengo fin da subito a spezzare una lancia in favore della mediazione

non cè bisogno di sfociare in una rigida e inetta autarchia dicendo ad esempio

“farò il semenzaio solo quando avrò autoprodotto tutti gli ingredienti”

no, è adesso che succedono le cose, e non c’è tempo per rimandare

a questo punto è importante capire il discorso dei dosaggi

all’Orto Entelekia tendenzialmente mescoliamo questi tre ingredienti nel dosaggio 1/3 – 1/3 – 1/3, quindi circa il 33,3% per ognuno

ma i dosaggi effettivi si possono, anzi, si Devono registrare e quindi Modificare in base alle Necessità di ognuno

In presenza di un terreno inorganico particolarmente pesante o un concime organico particolarmente potente, avrebbe perfettamente senso Abbassare il Dosaggio di quell’ingrediente

Invece, in presenza di un terreno molto pesante E di un concime molto potente, di conseguenza dovrebbe Aumentare il quantitativo del Diluente organico neutro

il modo migliore per poter trovare il giusto equilibrio tra questi tre ingredienti è sicuramente quello di fare delle prove, e questa è una scelta o una responsabilità di ognuno

Per oggi è tutto, buon attimo presente e alla prossima

Seguono alcuni video di approfondimento sul tema Suolo e Semenzaio

Semine Capillari in Ponderati Semenzai

“Per semi piccoli occorrono semine capillari”
dicevano i vecchi ortolani, autoctoni della tradizione contadina

Bentornati nell’Orto Entelekia,

siamo alle porte di aprile, la primavera è in arrivo, e con essa anche l’entusiasmo per nuove semine.

Parallelamente alla seconda ondata di semina di pomodori, peperoncini, peperoni e melanzane, si apre la stagione per la semina di carote, porri e lattughe, che come tutti sappiamo sono semi molto piccoli, e dunque richiedono attenzione e premura per una flufflosa semina capillare.
In questo contesto, oggi proponiamo il concetto di semenzaio ponderato, ovvero l’altra faccia del semenzaio matto.

Se nei video precedenti abbiamo visto la rutilante rimescolanza genetica volta alla selezione di piante resistenti e rustiche, questa volta vediamo il metodo più classico, più tradizionale, o per meglio dire, volto alla produzione di abbondanti raccolti.

Con tanto di cartellini e nomenclatura per la ogni varietà, iniziano le semine per questa agognata primavera, che già pregusta l’aria fresca dell’autunno con gli agognati raccolti del glorioso pattern 2

FUORI DAGLI SCHEMI – Consociazioni ed Orto Sinergico con Matteo Cereda (orto da coltivare) ed Alessandro Montelli (orto entelekia)

Da qualche tempo sono entrato in contatto con Matteo Cereda verso cui ho sentito sinergia (o per meglio dire, risonanza) fin dalle prime fasi della nostra corrispondenza epistolare.

Per chi non lo sapesse (ma secondo me lo sapete) Matteo è il curatore del sito Orto da Coltivare, un portale dedicato alla coltivazione biologica, ricco di consigli pratici su come produrre ortaggi sani e nutrienti, dal più delicato e sacrale momento della semina, al più glorioso atto del raccolto, passando ovviamente per tutte le fasi della preparazione del suolo in termini di lavorazione e concimazione naturale. Non mancano le indicazioni su come attuare la difesa biologica da patologie e parassiti, ma anche sui momenti giusti in cui poter fare degli interventi a calendario di semine, trapianti e sessioni di manutenzione per orto e frutteto. Insomma, un sito completo ed efficiente, o per meglio dire: Efficace.

Nelle ultime settimane abbiamo parlato della possibilità di organizzare un incontro online dove poter confrontarci su temi inerenti al vasto mondo delle Agriculture Evolutive, e proprio pochi giorni fa mi ha lanciato un invito estemporaneo per prendere parte alla diretta facebook organizzata con il suo gruppo di Orto da Coltivare. Mercoledì? Sì, sono libero, di questi tempi il mio unico impegno è l’incontro zoom della domenica con il gruppo del progetto Campomadre per l’evento Dall’Orto all’Agro Foresta, dunque mercoledì va benissimo.

Con qualche giorno di anticipo, molto gentilmente, Matteo mi ha inviato una mail con la scaletta dei temi che avrebbe voluto affrontare assieme a me, ma in quel momento ero totalmente immerso nella modalità “frenesia dell’ortolano moderno“. Perso dietro a mille cose da fare, la mia attenzione aveva la stessa risolutezza di una mosca impazzita, che se Fukuoka mi avesse visto si sarebbe adirato in un’espressione di austero disappunto misto a tacito rimprovero, come a dire “ragazzo, dov’è finito il tempo per riposare nel pomeriggio e per scrivere poesie!?” Dunque dopo aver letto, o per meglio dire, sbirciato fugacemente la scaletta, ho risposto con un automatizzato “ok alla grande” ed in un lampo lo scorrere del flusso degli eventi concatenati ci ha subito portati a quel mercoledì sera. Era il 17 febbraio 2021.

Con qualche minuto di anticipo sull’inizio ufficiale dell’evento ci connettiamo e finalmente abbiamo la possibilità di ‘guardarci in faccia’ e di sentire il colore delle nostre voci. Perfetto, il collegamento funziona, cominciamo. Matteo inizia dicendo qualcosa come: “eccoci qui a parlare di sinergie, perché parliamo di sinergie e perché lo facciamo con Alessandro?ed io, solo in quel momento, ritornato al presente, mi domando “infatti Matteo, perché proprio io? Io che sono stato spesso definito come Il Lato Oscuro dell’Agricoltura Sinergica? Io che quando apro bocca sugli schemi codificati non posso fare a meno di smantellarli, al fine di raggiungerne la più intima e distillata essenza intrinseca? Io che preferisco far crollare i teatrini, a costo di deludere chi si era illuso, a favore di un approccio che possa rimanere il più possibile a contatto con la realtà agricola?”

e lui continua: “in giro l’informazione su queste tematiche non è perfetta, a me non piace per niente lo schemino della consociazione, le tabelle a matrice che scandiscono il buono e il cattivo, le consociazioni, il bancale, la pacciamatura […] in realtà in agricoltura non è così. Allora mi sono cercato qualcuno che divulga su queste tematiche in maniera secondo me molto profonda […]e non ho voluto scrivere ‘orto sinergico’, ma ‘sinergie’ per sottolineare tutte queste realzioni che ci sono e che avvengono mentre noi coltiviamo

Queste parole mi tranquillizzano, poiché mi danno la netta percezione che, forse, Matteo ed io siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Infatti dopo una breve presentazione e contestualizzazione su come è avvenuto il mio ritorno alla terra, mosso dalla necessità di capire il suo punto di vista, gli domando: “tu poco fa dicevi che lo schemino delle consociazioni rigide o dell’orto sinergico classico non ti piace più di tanto, ebbene, mi permetto di chiederti: perché non ti piace più di tanto?

Matteo risponde: “non mi piace più di tanto perché non ci invita a capire cosa c’è dietro, non mi piace la rigidità di uno schema che a volte ci fa da barriera o ci limita nel ragionamento” ma spiega anche che la sua è un po’ una provocazione volta ad animare un dibattito costruttivo, e ci troviamo subito d’accordo col fatto che “è una questione di approccio” poiché in effetti gli schemi sono degli strumenti neutri, forgiati dalla volontà di diffondere delle informazioni utili al prossimo; dunque a fare veramente la differenza forse è il modo in cui l’individuo riceve, elabora e mette in pratica uno schema, un’informazione, un principio, un’indicazione, qualunque essa sia.

Così, ben presto arriviamo a porre l’attenzione sull’importanza della responsabilizzazione: una possibilità a disposizione di ogni individuo. La possibilità di interagire con ogni schema, senza farlo diventare una gabbia, ma valorizzandolo come strumento utile per avvicinarsi al vivere un’esperienza concreta volta a una reale riconnessione con la terra e con la tradizione contadina. Ed è proprio sotto al segno di questa considerazione che si svolge l’evento, in cui questa chiave di lettura diventa il sottofondo di tutte le tematiche affrontate, dalle consociazioni alle successioni di coltivazione; dalle sinergie alle tipologie di pacciamatura; dall’auto produzione dei semi alla produzione di piantine in semenzaio o vivaio domestico; dalle fonti di fertilità organica alle tecniche di rigenerazione del suolo (e dell’humus); dal ricordo benevolo e colmo di gratitudine verso il lavoro degli intramontabili maestri come Masanobu Fukuoka, Emilia Hazelip, Bill Mollison e tanti altri; alla consapevolezza di come il loro indispensabile ruolo sia strettamente connesso al frutto della loro epoca, e di come oggi tocca a noi fare tesoro dei loro insegnamenti per compiere un altro piccolo passo nella storia dell’evoluzione agricola.

Il dialogo scorre nell’armonia, con Matteo e con i partecipanti che intervengono attraverso i messaggi condivisi nella chat, e ben presto il tempo che abbiamo a disposizione arriva al termine. Infatti a un’ora e mezza dall’inizio ci troviamo a salutare tutti augurando la buona notte, ma io – abituato ormai alle serate col gruppo di Campomadre in cui generalmente non se ne parla di fare incontri più brevi di 3 o 4 ore – sento di avere ancora voglia di condivisione, di dialogo, di confronto, di essudati umani e cognitivi, così prendo tempo continuando a fare domande a Matteo che accoglie di buon grado la mia spudorata insistenza.
Così, a ‘telecamere spente‘ ha luogo un’altra importante sessione di confronto, in cui affiorano la rilassatezza e la spontaneità, in un flusso di tematiche semplici e al tempo stesso profonde. Avendo io lasciato attiva la registrazione nel programmino che solitamente utilizzo per le dirette, a fine serata mi ritrovo con un contenuto extra che mi sembra troppo prezioso per non inserirlo nella registrazione destinata alla pubblicazione.
Allorché informo tempestivamente Matteo su questa idea per chiedergli un parere, ma anche il suo benestare. Con grande piacere in risposta ricevo la totale accoglienza di questa iniziativa, e non da meno, l’apprezzamento per la modalità ‘candid camera’ che gli ha permesso di raccontarsi.

Mi sento felice di aver incontrato Matteo, che ho percepito come un ragazzo attento e sensibile, protetto da un velo di timidezza che racchiude una profonda umanità, oltre che una vasta conoscenza del mondo agricolo.

Con altrettanta felicità condivido con voi la registrazione di quella serata, con tanto di contenuto extra dietro le quinte ‘rubato’ dalla ‘telecamera nascosta’

Dall’orto Entelekia, per il progetto Campomadre, per ora è tutto
buon attimo presente e alla prossima 🙂

L’agricultura naturale e il miglioramento dell’essere umano – Semi di Resilienza

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Il buon Masanobu Fukuoka diceva già nel secolo scorso che il fine principale dell’agricoltura naturale, oltre alla produzione di raccolti, è il miglioramento dell’essere umano.

Questo pensiero mi accompagna praticamente ogni giorno da ormai 10 anni, dentro e fuori dall’orto, quando sono solo e quando sono in compagnia, quando tutto è calmo e quando nel flusso della vita si manifestano degli imprevisti potenzialmente burrascosi.
L’orto entelekia nasce nel 2014 e fin dal primo momento per noi è stata chiara l’importanza di ricollegarci al filo della tradizione contadina, la cui fiamma ancora pulsa nella nostra memoria genetica e nel grembo della Terra.
Gli aspetti delle antiche pratiche rurali che principalmente ci affascinano sono certamente la salvaguardia della biodiversità, la riproduzione e lo scambio dei semi in funzione di un’agricultura evolutiva e resiliente.

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A tal proposito, nella quotidianità dell’orto entelekia abbiamo avuto modo fin dai primi anni di scontrarci con alcune realtà più grandi di noi vivendo  circostanze inizialmente destabilizzanti come:
nell’apice della fioritura dei nostri broccoli preferiti, quando già stiamo pregustando la futura raccolta dei loro semi, vedere presentarsi due rappresentanti di una ditta sementiera locale che ci invitano a rimuovere le nostre piante in fiore per evitare le impollinazioni incrociate con i loro campi distanti poche centinaia di metri dall’orto entelekia. Trattandosi di campi con coltivazioni ibride, ci spiegano, è bene che le loro varietà non ricevano pollini esterni, al fine di mantenere la purezza varietale.
A nostra volta, ci diciamo, anche noi preferiremmo che le nostre piante, varietà antiche e resilienti, non vengano impollinate dalle loro linee pure.

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Di fronte al loro invito di estirpare le nostre piante in fiore potremmo agire in due modi:
1) obbedire, magari mossi dalla paura di eventuali ripercussioni legali in caso di disobbedienza;
2) disobbedire, magari mossi dall’impeto arrogante secondo cui: ” chi sono loro per dire a noi cosa possiamo o cosa non possiamo fare?! ”
e in questa circostanza riaffiora alla memoria quella frase di fukuoka:
” il fine ultimo dell’agricoltura naturale, oltre alla produzione di raccolti, è il miglioramento dell’essere umano ”

Ecco, ritrovando questa consapevolezza diventa impensabile scegliere dalle prime due ipotesi appena elencate: impensabile agire mossi dalla paura, impensabile agire mossi dall’arroganza poiché sono entrambi frutti dell’ego, ma il nostro desiderio è quello di migliorarci come esseri umani, preferendo _ quando possibile _ accantonare l’istinto precipitoso dell’ego, a favore di qualcos’altro.
E allora, come agire? Una terza possibilità si rivela:

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agire con la coscienza, cercando prima di tutto il dialogo, la mediazione, e _ ancor prima _ cercando di osservare chi abbiamo di fronte non come fosse un nemico, ma riconoscendolo come un nostro simile.
Così facendo, ad oggi, anno dopo anno, stiamo riuscendo a trovare soluzioni resilienti grazie a cui nessuno viene danneggiato, ma tutti ne risultano soddisfatti.

Le prime gesta avvenute su questo tema si possono trovare nei capitolo 18 e 20 del documentario pubblicato su youtube intitolato “un percorso nell’orto entelekia”, inoltre, da tutto questo nascono anche i due seguenti video realizzati a fine marzo 2020:

Se avete tempo, consigliamo la visione di entrambi a cominciare dal primo, più centrato sugli aspetti tecnici del contesto agricolo

e successivamente il secondo più centrato sugli aspetti riflessivi del contesto umano

Per ora è tutto.
Un saluto dall’orto entelekia con il rinnovato invito di seminare, nel proprio giardino interiore, i semi della resilienza e della pace.
Grazie e a presto.

Ecovillaggio Corricelli – Settembre 2018 – ‘Diplomato’ alla Scuola Emilia Hazelip

Il prossimo incontro con la Libera Scuola di Agricoltura Sinergica Emilia Hazelip è previsto all’Ecovillaggio di Corricelli. Mentre Anna Fanton ed io confabuliamo per pianificare il viaggio, il buon Emanuele esprime la volontà di venire con noi e propone di andare tutti e tre assieme con la sua macchina. Accettiamo con gioia la sua proposta e dopo aver lasciato trascorrere un’altra notte, al primo mattino dal Lazio partiamo alla volta della Toscana.

L’auto di Emanuele, che guida con encomiabile concentrazione, è insonorizzata e produce un effetto sordo che sommato all’intrascurabile percezione della velocità innesca un ossimoro percettivo contrastante, tale da farci sentire come all’interno di una bolla, fluttuanti lungo la strada illuminata dai raggi della Stella Madre mentre il panorama lentamente muta sotto ai nostri occhi e un altro respiro arriva.

Man mano che l’andamento diviene sempre meno lineare e sempre più dinamico realizzo che stiamo giungendo in Terra di Toscana, anzi ci siamo ormai addentrati pienamente nelle sue inconfondibili e caratteristiche colline sognanti.

Periodicamente telefono ad Antonio per aggiornarci sulle rispettive posizioni, lui, Marilia e Marco sono già arrivati al punto di incontro mentre noi siamo un pelo in ritardo poiché abbiamo sbagliato strada un paio di volte ed a una certa ci siamo pure fermati a fare uno spuntino, degustato assieme alla presa di coscienza che non era certo il caso di fermarsi a mangiucchiare!
(Mia Mamma da ostetrica commenterebbe: “come i bambini appena nati che vogliono mangiare ogni due ore”).

Ripartiamo determinati a raggiungere in fretta la destinazione ormai prossima, ma alla visione del cartello stradale che dice ‘Cantagallo’ Emanuele accosta, scende dalla macchina dicendo ‘devo fare una cosa’ e dagli specchietti retrovisori lo ammiriamo incamminarsi verso il cartello (ormai 20 metri più indietro) intento a fotografarlo, poi con passo soddisfatto e contraddistinto dalla sua intrinseca calma ritorna in macchina e ci spiega che sta scrivendo una canzone intitolata ‘Senso Comune’ in cui il testo è strutturato su giuochi di parole realizzati sui nomi dei Comuni. Il videoclip sarà realizzato con le immagini dei cartelli segnaletici che riportano appunto i nomi dei Comuni citati nella canzone, tra cui ora anche ‘Cantagallo’. Bella storia!

Lungo il tragitto ci fermiamo un altro paio di volte a fotografare degli imperdibili cartelli segnaletici ed in fine, finalmente, arriviamo al punto di incontro dove incontriamo Antonio, Marilia e Marco un po’ preoccupati e un po’ interdetti dal nostro ormai grossolano e gozzovigliato ritardo, ma la cosa importante è esserci ritrovati e con un giro di sguardi e di abbracci tutto si armonizza in una bella risonanza. In questo frangente mi dico che è bello poter riguardarli negli occhi.

Assieme riprendiamo la rotta verso la nostra destinazione ormai inesorabilmente sempre più vicina, finché ad un bel momento lungo il fianco della strada trafficata appare un grande arco sconnesso da qualunque altra struttura, come una reliquia antica, come il portale verso un altro mondo e noi ovviamente svoltiamo proprio lì. Passiamo sotto all’arco e iniziamo a risalire una via sterrata e sassosa che si addentra nella collina.
Man mano che avanziamo si sente un graduale cambiamento nell’aria e ad un certo punto diventa tangibile il momento in cui varchiamo il confine invisibile del bosco, è come se ci stesse accogliendo nel suo metaforico grembo.

Il tragitto è lungo e piacevole, quando d’un tratto la nostra auto (l’auto di Emanuele) inizia a soffrire la ripida salita. Emanuele da gas e la macchina va su di giri, Anna ed io gli chiediamo se non preferirebbe accostare e farci venire a prendere dai ragazzi dell’Ecovillaggio, ma lui, tra fiducia ed ostinazione, rincalza dando gas. L’aria diventa irrespirabile dalla puzza di bruciato. Emanuele con fare sbalordito e preoccupato decide di fermare la macchina e continuiamo la salita assieme ad Antonio, Marilia e Marco, muniti della loro auto a 4 ruote motrici.
Orbene, passiamo il proverbiale guado e dopo le ultime curve imbrocchiamo la salita definitiva, ed ecco che nonostante le numerose peripezie, gloriosamente approdiamo alla nostra destinazione: quella che chiamano ‘La 1’ ovvero la casa base di riferimento per tutto il villaggio.

Arrivano ad accoglierci Anja ed Enzo e ci accompagnano lungo un sentierino in ripida discesa che arriva in un terrazzamento dove troviamo una struttura in legno open space in cui atmosfera interna ed esterna si compenetrano osmoticamente grazie alle pareti cariche di ampie aperture che lasciando entrare il profumo del bosco e la luce dell’orizzonte. L’atmosfera è fantastica in tutti i sensi del termine. Sfiora il fantasy.

Anja mi conduce oltre questo luogo che è sia una cucina, sia una sala da pranzo, sia una sala riunioni, e percorrendo un sentiero pianeggiante che costeggia il crinale giungiamo ad uno spiazzo in cui con disinvoltura apro la tenda pop-up sul basamento di pancali e cartoni che delinea l’area destinata.

Mi stendo un attimo per contemplare il presente e da questo momento in poi la percezione del tempo si sveste del formale abito cronologico rivelandosi nella sua essenza eterna. Il bosco ed il cielo sono le lancette dell’orologio cosmico che scandisce i momenti, la luna e le stelle sono il nostro calendario lucente.

Ritorno dagli altri, facciamo una passeggiata visitando i vari luoghi che compongono l’anatomia di questo Ecovillaggio, bellissimi spazi verdi e sentieri che raccontano nei loro profili la storia dell’evoluzione. La roccia madre sporge appena sotto i 50 centimetri di suolo che la vita vegetale ha creato nei secoli dei secoli.

Terrazzamenti collegati da scalinate sterrate determinano una rete di orti e capanne che decora il fianco della collina. Come ciliegina sulla torta: una yurta gigantesca, sospesa da una palizzata a non so quanti metri di altezza su un dislivello, inglobata ad un albero possente: qui dormirà Emanuele.
Verso la fine della camminata quando stiamo per ritornare ‘alla 1’ visitiamo anche un’altra struttura in legno che dal sentiero si sporge sul dirupo sottostante, viene utilizzata principalmente come deposito attrezzi e officina, ma la vista da qui è talmente panoramica che non possiamo fare a meno di occuparla anche per le riunioni di questi giorni.

Un roboante richiamo medievale risucchia la nostra attenzione. Dalla cucina a valle qualcuno sta suonando una grossa conchiglia a spirale soffiandoci dentro sapientemente per farla tuonare, è segno che il pranzo è pronto.
I ragazzi dell’Ecovillaggio hanno preparato tante prelibatezze che oggi diventano il nostro nutrimento. Mangiamo tutti assieme nutrendoci anche di discorsi importanti e profondi così come di chiacchierine tranquille.

Nel pomeriggio ci raggiungono Stefania ( dal Molise ), Carlo e Luciano ( dal Piemonte ) e Gaetano ( dalla toscana ) che avevo già incontrato nel 2017 a Montepulciano nel corso in cui ho assistito Antonio da Laura Bianconi.

E’ giunta l’ora della prima riunione ufficiale per questo incontro dell’associazione Libera Scuola in simbiosi con l’Ecovillaggio Corricelli, così torniamo all’officina in legno con vista sulla valle.

corricelli1

In questo frangente, tra i tanti argomenti discussi è riecheggiata anche un’idea che da tempo aleggiava nell’aria, e questa volta torna al centro del cerchio con nuova forza, come un seme all’arrivo della primavera.
Si parla della possibilità di organizzare un corso annuale, riprendendo un’idea proposta qualche anno fa da Anna Satta, se la memoria non mi inganna. Ora però l’idea è di fare il corso annuale in questo Ecovillaggio, con un programma strutturato da incontri mensili, ogni incontro sarà tenuto da uno o più docenti che esporranno un argomento specifico da approfondire. Stiliamo una bozza con un programma di 9 incontri stilati nell’ordine:
Marzo con il tema dell’Acqua affrontato da Antonio De Falco e Luciano Furcas;
– Aprile con Anna Fanton e Anna Benzoni sul tema del Suolo con la potenziale partecipazione del pedologo Fabio Primavera;
– Maggio con Luciano Mastroleo, Antonio De Falco e Alessio Mancin sul tema della prima realizzazione delle aiuole con impianto di irrigazione ed una parentesi sull’apicoltura tenuta da Anto Quitadamo;
– Giugno con Marco Naldini e Marilia Zappalà accompagnati da Luca Puri per approfondire i principi della Permacultura, infatti questo percorso annuale vorrebbe essere strutturato in modo da valere sia come corso avanzato in Agricultura Sinergica e sia come PDC ( Corso di Design in Permacultura ) d’altronde in fondo, mi dico, Agricoltura Sinergica, Permacultura, ma anche Agricoltura Naturale, Agricoltura Sintropica, Agricoltura Bio Attiva, Agricoltura Organica Rigenerativa, Agricoltura Elementare, Agricoltura Biologica, Agricoltura Simbiotica e chi più ne ha più ne metta: sono tutte facce della stessa medaglia. Sono tutti nomi diversi per intendere un’unica nota di fondo che risuona in uno specifico suono, il suono dell’armonia;

– Luglio sul tema dell’Orto che cura con Luciano Mastroleo;
– Agosto sul tema della Salvaguardia dei Semi con me, in compagnia di Antonio De Falco e Anna Garofalo per indagare il tema della trasformazione e la fermentazione dei prodotti in cucina;
– Settembre sull’effetto margine con Gabriel Didoni e Alessio Mancin;
– Ottobre con Anna Fanon e Laura Leone sul semenzaio e sulla semina dei cereali;
– Novembre con Michele Rosetti e Janneke Gisolf sul tema del forest gardening con conclusione del corso, dopodiché teorizziamo il prossimo incontro della scuola in terra di Romagna ospitati proprio da Michele.

Man mano che parliamo e il progetto prende forma si sente un denso entusiasmo all’idea di vivere questa nuova esperienza sperimentale che la Scuola affronterà. Carichi di fiducia seminiamo nell’universo questa volontà affinché con i tempi del possibile nei prossimi mesi possa compiersi diventando una realtà.

D’un tratto l’attenzione di tutti è richiamata dal celtico richiamo dalla cucina che torna a tuonare, questa volta alle ultime luci del tramonto mentre la luna piena si leva all’orizzonte. Percorriamo il sentiero in discesa fino a raggiungere la cucina illuminata da candele che emanano una luce calda e pastosa, ma soprattutto: vibrante! Mentre ceniamo continuiamo a parlare, questa volta ad un ritmo più lento e contemplativo mentre nell’aria si respira un’atmosfera di altri tempi.

Nel dopocena guardiamo il cielo. Emanuele ci parla della Luna e i discorsi si diramano in molteplici finestre di dialogo parallele, finché qualcuno inizia a ritirarsi nelle proprie stanze. Ben presto arriva anche il mio turno, mi dirigo verso la tenda lungo il sentiero notturno illuminato dal bagliore lunare, nel pieno silenzio, i miei passi sulle foglie sono l’unico suono che riesco a sentire.

Mi distendo accerchiato dagli alberi e respiro a pieni polmoni dell’aria vera. Lentamente l’udito si equalizza sulle frequenze più sottili e mi rendo conto che in verità attorno alla tenda il bosco e le sue creature stanno suonando come un’orchestra.

Per un’istante inciampo nell’illusione dell’inquietudine, ma il secondo successivo mi rendo conto che quell’inquietudine è semplicemente il frutto di impressioni inconsce raccolte in anni di suggestioni fiabesche e televisive secrete da una società post industriale. Probabilmente in un ipotetico universo parallelo in cui il presente è l’espressione di una cultura resiliente e simbiotica: lo storytelling attribuirebbe la suggestione dell’inquietudine alle città, ai centri commerciali, ai tragici condomini, alle discoteche, ai call center, e non ai boschi.
Mi abbandono al dolce grembo vibrante della collina e sprofondo in un sonno riconciliante. Al mattino mi sento ricaricato, come non mi capitava da un pezzo.

Continuano le fruttuose riunioni e continuano i richiami roboanti dalla cucina ad evocare pasti festosi seguiti da necessarie pennichelle. Antonio e Luciano così come tanti altri all’interno della Scuola conoscono molto bene questo Ecovillaggio poiché hanno contribuito a farlo nascere. Emanuele ed io andiamo con loro a fare una passeggiata leggermente fuori dai sentieri, attraversando barriere di vegetazione nerboruta, camminando su tratti di antiche mura coperte di uno spesso muschio, fino ad arrivare a un piccolo spiazzo sopra il corso di un fiume, un posto ideale per fare una siesta e parlare d’amore.

In questo contesto, nel divenire del flusso del tempo, arriviamo al momento della conclusione ufficiale del mio percorso di formazione con la Libera Scuola di Agricoltura Sinergica Emilia Hazelip.
Mentre ci riuniamo in cerchio ogni respiro mi arriva come l’onda di una mareggiata che riporta alla memoria tutte le stagioni di questo viaggio iniziato circa 10 anni fa quando un bel giorno mia madre tornò a casa con un vassoio di piantine aromatiche di tutti i tipi: dall’incenso, al basilico (verde e rosso), all’origano, al timo, alla maggiorana, ma forse anche alla salvia e a qualcos’altro.
Istintivamente, come un piccolo apide, mi ci fiondai a braccia aperte, respirando profondamente. In quel frangente, la visione dei loro colori e la percezione dei loro aromi furono come vedere per la prima volta una porta che si apre verso un nuovo orizzonte, un nuovo mondo che mi chiamava, che mi invitava ad esplorarlo.

Da quel momento affiorò spontaneamente l’interesse a riprendere in mano e a sfogliare quel libro che un amico di famiglia ci aveva donato qualche tempo prima.  Il titolo diceva: “La rivoluzione del filo di paglia” scritto da un misteriso autore giapponese, un tale Masanobu Fukuoka.
Attraverso quella lettura percepii un senso di familiarità e di fratellanza nei confronti dell’autore con cui sentivo di condividere gli stessi pensieri e lo stesso animo, nonostante l’appartenenza a due epoche e due parti del mondo molto distanti tra loro.

Così molte altre porte si aprirono, molti nuovi semi germogliarono dentro e fuori di me, dalle prime sperimentazioni di orto in vaso nel cortile di cemento in pieno centro città, al desiderio di mettere le mani nella terra vera; al desiderio (esaudito da mia madre) di acquistare un piccolo spazio nelle aridenti campagne romagnole in cui poi (grazie anche e soprattutto all’aiuto di mio fratello Flavio) nacque l’orto entelekia, in cui ho potuto sperimentare la riconciliazione con il grembo terrestre e con il sentore di uno stile di vita passato, ma ancora molto presente nel sangue che mi scorre dentro.

Dopo qualche anno di tentativi istintivi e improvvisati, bilanciati da una costante ricerca e studioso approfondimento, incontrai indirettamente il lavoro della Libera Scuola Emilia Hazelip attraverso i video correlati su YouTube, apparsi in seguito alle visioni dei video di Masanobu. Dalla visione di Antonio rimasi folgorato, tanto da contattarlo scrivendogli una mail in segno d’amicizia a cui rispose amorevolmente con nostra grande sorpresa e felicità ( nostra= mia e di tutte le persone a cui ‘ho fatto una testa tanta’ parlando con entusiasmo di Antonio, a cominciare da mia madre e mio fratello ).
Ci demmo appuntamento varie volte, ma per vari motivi non riuscimmo mai a trovarci, finché decisi di andare a trovarlo a colpo sicuro in uno dei suoi corsi.
Così nell’aprile 2015 coinvolsi il mio atavico amico Pimpiorl Zion ( Gigi ) e andammo alla volta dell’altissimo Friuli, per il puro piacere di guardare Antonio negli occhi e poter attingere dalla saggezza racchiusa nella sua lunga barba.
Fu una bellissima esperienza, intensa, riconciliatoria, rincuorante. Trovare tante persone con interessi e valori affini mi diede la nitida percezione di non essere solo in questo cammino di pacifico e resiliente ritorno alla terra. Compresi il valore della comunità, della sinergia tra una pluralità di individui ed arrivai a dire che un orto sinergico è tale solo quando lo coltivi con altre persone.

Rientrato in romagna volli ripetere l’esperienza, questa volta organizzando l’evento in prima persona ed ospitando Antonio che accolse l’invito con piacere. Ancora una volta una avventura, resa possibile dalla vicinanza di tante persone diverse, unite dalla stessa scelta che nasce dal cuore. In quel frangente dissi ad Antonio di voler mettermi a servizio per la divulgazione dell’Agricultura Sinergica e lui mi diede la possibilità di seguirlo come assistente nei 2 anni successivi ai corsi di Campiano, Montepulciano e Radicofani, al cui termine mi invitò a concludere il percorso di formazione nella Scuola per iniziare il mio percorso individuale.
Nel frattempo, in quegli anni, misi in pratica nella vita di tutti i giorni tutti gli insegnamenti che apprendevo, sia in ambito di piccola agricoltura familiare, sia in alcuni progetti ambiziosi su larga scala a cui presi parte come collaboratore. Nella quotidianità, la risposta concreta della terra di fronte al mio approccio pieno di teoria fu una bella lezione, fondamentale per affinare lo sguardo sulle dinamiche reali e le implicazioni intrinseche ai processi ecosistemici coinvolti in agricoltura.
Così in orto Entelekia misi a punto tutte le tecniche necessarie per soluzionare i vari problemi che avevo riscontrato mentre cercavo di mettere in pratica i principi dell’agricoltura Naturale / Sinergica, arrivando a comprendere come ‘il non fare’ non sia un punto di partenza, bensì, un punto di arrivo, probabilmente a seguito di un percorso di evoluzione tra suolo, piante e uomo.

Elaborai il frutto della mia ricerca in una tesina centrata sul tema del miglioramento del suolo argilloso attraverso l’uso della pacciamatura mista, ponendo l’accento sull’aspetto pratico volto all’ottenere risultati concreti nel giro di un breve e determinato arco temporale, al cui termine il suolo presenta le caratteristiche fisiche e chimiche per permettere di mettere di realizzare tutti e 4 i principi dell’agricoltura Naturale e Sinergica.

Portai questa tesina il giorno in cui a Borgo Taro mi presentai alla Libera Scuola nel gennaio 2018, momento in cui conobbi i membri dell’associazione Libera Scuola e chiesi ad Anna se avrebbe voluto accompagnarmi nella fase finale del mio percorso, la quale accettò.
Poi arrivò il corso di Maccarese, ed ora eccoci qua.

Incrocio lo sguardo di persone incontrate nelle fasi avanzate di questo viaggio, come i ragazzi di Corricelli, Emanuele, Gaetano, Carlo, Luciano, Marco ed Anna, e ritrovo lo sguardo delle persone con cui tutto ha avuto inizio: Laura, Marilia, Antonio – che mi conferisce il diploma con un grande sorriso dicendo “in qualità di presidente onorario, sono onorato nel darti questo diploma”.

A seguire, grandi abbracci, strette di mano virili, pacche sulle spalle, congratulazioni, ed occhi via via sempre più lucidi.

Qualcuno si accorge che nel testo del diploma stampato manca la voce “titolo della ricerca” e dice “che peccato, sarà necessario aspettare la prossima assemblea per diplomarlo!” ma interviene Anna che trasforma il problema in soluzione aggiungendo la dicitura scrivendola di suo pugno, poi mi lancia un’occhiata come per dire “va bene lo stesso anche se è scritto a mano, no?”. Socchiudo gli occhi come per dire “assolutamente sììì”.

DIPLOMA

Così in questo 21 settembre, sul margine che conclude l’estate ed accoglie l’autunno, anche per me si conclude un percorso. Nell’aria, nei raggi della stella madre e nei lacci delle mie scarpe si percepisce vibrante il suono di una nuova porta che si apre, da cui si scorge un nuovo orizzonte che mi chiama e che mi invita ad esplorarlo.
Dopo i saluti, calorosi ed affiatati come non mai, riprendo la strada per il viaggio di ritorno, con il cuore pieno di gratitudine – verso tutti i miei compagni di viaggio – e pieno di fiducia – verso il fato provvidenziale che attraverso il filo di questo respiro sta già tessendo la trama di un nuovo attimo presente, pieno di potenzialità.

Continua …

Diario Dell’Orto – quinto anno – capitolo 11 (Novembre – Dicembre)

Non ci sono scuse.
Il tempo resta fermo, ma noi, al suo interno scorriamo sempre più veloci.
Le giornate continuano a durare mai più di 24 ore e quotidianamente l’attenzione viene riposta su un multiverso di realtà in costante aumento.

Ergo: non riuscendo a seguire tutto con la desiderata efficienza al momento ci ritroviamo a non aver ancora compiuto con risolutezza gli ultimi capitoli del Diario Dell’Orto Entelekia per l’anno 2018.
Con gli Hard Disk intasati di foto e video che non aspettano altro di essere sbobinati e messi in un ordine presentabile, per il momento riprendiamo il filo narrativo di questo quinto anno dell’Orto Entelekia inserendo cronologicamente i video realizzati nel mese di Novembre e di Dicembre,

rimandando al futuro il momento propizio in cui preparare in maniera adeguata gli articoli così come abbiamo fatto per i post precedenti.

In questo capitolo 12 siamo ancora al punto di coincidenza con la fine di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. Le ultime impronte dell’orto estivo cedono il passo alle popolazioni invernali. Nel fosso lungo la recinzione sud vediamo le radici di consolida maggiore produrre vigorosamente nuove foglie fresche, dopo il passaggio del trinciatore. Oltre a consolidare il terreno in discesa proteggendolo dalle frane, la consolida tappezzerà come pacciamatura viva tutto il versante del fosso adiacente all’orto, togliendo luce e spazio a tutte le altre erbe spontanee, o almeno questo è quello che speriamo. Inoltre sarà una fascia tampone sempre disponibile da cui attingere foglie per uso alimentare o per ingrediente da aggiungere alla stazione di compostaggio aerobico, o da usare come pacciamatura frescsa. Poi torniamo all’orto e vediamo che l’aiuola adiacente alla recinzione riattivata nel capitolo 11 sta già facendo balzi quantici incredibili. I piselli sono nati in maniera esplosiva e i radicchi si piazzano con decisione mentre l’aglio, lento ma deciso, si risveglia. Passiamo a un’aiuola dell’orto in cui stiamo osservando un fenomeno interessante: questa aiuola nacque nel 2014 come bancale rialzato di terra madre argillosa; nel 2015 e nel 2016 (periodo in cui pacciamavamo esclusivamente con paglia e residui degli ortaggi) lo abbiamo visto gradualmente abassarsi fino a tornare a livello terra, così come tante altre aiuole di quest’orto; da fine 2016 ad oggi (2018) abbiamo iniziato ad aggiungere alla pacciamatura anche foglie e cippato di legna, e in questo periodo abbiamo visto che alcune aiuole iniziano a rialzarsi spontaneamente per la lievitazione dovuta all’alchimia di umificazione grazie alla pacciamatura maggiormente biodiversificata. Così l’aiuola sembra iniziare ‘volontariamente’ un percorso verso il tornare ad essere un’aiuola alta, costituita questa volta non più da terra madre, ma da humus generato anno dopo anno, coltivazione dopo coltivazione. In questa aiuola presentiamo un pattern più fedele all’Orto Sinergico di Emilia Hazelip, che approcciamo cominciando da una distinzione semplice tra due aree: il centro e il bordo. Iniziamo dall’osservazione del bordo, dove il concetto di linea 2 e 3 ( dedicate alle piante da radice o da bulbo ) e il concetto di linea 2,5 ( dedicata alle piante da foglia o da fiore ) si fondono in due semplici linee in cui presenziano alternandosi a zig zag sia fiori/foglie e sia radici/bulbi. La parte centrale per adesso la descriviamo con una semplice linea ( la famosa linea 1,5 destinata sempre alle piante da foglia o da frutto ) in cui mettiamo i cavoli, vicino ai sedani che erano già presenti e rimangono molto a ridosso del bordo. L’aiuola ora è pronta per essere bombardata di semine di riempimento multivarietale e ad essere pacciamata con cippato autoprodotto. Se da un lato piantiamo in orto, dall’altro seminiamo in serra, cercando di sostenere un ritmo di produzione continua ( in questo caso di insalate ). Sempre in serra troviamo i frutti dei peperoncini che come addobbi profetici evocano un sentore natalizio crescente. Li raccogliamo e questa volta li mettiamo nell’essiccatore, per non fargli fare la fine dei primi raccolti che una volta intrecciati con amore e appesi in serra sono ammuffiti a causa degli imminenti giorni di pioggia e di guazza. In fine recuperiamo i semi di pomodoro che nel frattempo hanno compiuto la fermentazione e procediamo con il filtraggio per mezzo dell’acqua e della forza di gravità in sinergia con il principio di archimede. Filtriamo con un colino ( e se occorre risciacquiamo con acqua corrente ) e poi stendiamo il tutto su un piatto ad asciugare per qualche settimana.


In questo capitolo 13 iniziamo con la felice semina dell’aglione della Valdichiana, in compagnia dei nostri amici Alex e Laura che in questi anni ci hanno accompagnato molte volte nelle avventure dell’Orto Sinergico Entelekia.
Posizioniamo i bulbi lungo i bordi di tre aiuole non ancora riattivate, intervenendo delicatamente con la trivella manuale in concomitanza con la posizione destinata all’aglione: questo per demotivare simbolicamente i topazzi che hanno ricreato un complesso sistema di gallerie sotto le aiuole.
La speranza è quella di guastargli le suddette gallerie a favore dell’incolumità del nostro aglione adorato. In seguito passiamo a controllare lo stadio di crescita delle semine di riempimento propugnate negli scorsi capitoli e con piacevole sorpresa vediamo che la rucola va che vola!
Interveniamo tagliandola ( praticando il taglio più in alto rispetto al ‘cuore’ delle piantine ) svolgendo così un lavoro di manutenzione ( favorendo il passaggio della luce per le altre piantine come insalate, cavoli, piselli, aglio e cipolla ) ottenendo come ‘effetto collaterale’ uno straordinario raccolto di rucola fresca e vitaminica. Nell’aiuola accanto, avviata precedentemente, le insalate hanno già iniziato a svilupparsi e tengono testa alla rucola.
Avendo già bottinato con la rucola, da questa aiuola prendiamo delle foglie di lattuga a mungitura, ponendo il focus sull’importanza di queste due tecniche di raccolta:
– la raccolta da taglio e – la raccolta a mungitura entrambe preziosissime per la manutenzione efficace di un orto sinergico. Slittiamo ora in un’altra aiuola che riattiviamo, nell’ordine:
-tagliando a livello terra le erbe spontanee scapigliate -sistemando le piante ancora piene di buone intenzioni come i radicchi e i finocchi rinati dalla radice dopo essere stati tagliati in estate poiché erano andati a seme precocemente; ora infatti li rincalziamo sia per il piacere di valorizzare il loro impegno e sia per contemplare la libertà di poter compiere un gesto che prima di tutto testimonia a noi stessi un’importante capacità che stiamo sviluppando: andare oltre al nostro stesso approccio a volte estremamente rigido soprattutto per quanto riguarda l’applicazione dei principi fondamentali dell’Agricoltura Sinergica.
– ripiantando nuove insalatine seminate a inizio ottobre in serra e interrando profondamente le cipolle che hanno 1 anno di età, per lo sviluppo di ‘porrotti’ primaverili da raccogliere prima che vadano in fiore Resta solo da pacciamare, ma questo lo faremo a breve, per questa volta abbiamo finito e rientriamo in casa, contemplando i peperoncini raccolti negli scorsi capitoli che finalmente sono secchi e pronti per diventare un olio che ci lascerà a bocca aperta! Prima di salutarci però ci teniamo a sottolineare che il gesto del rincalzo, propugnato in questo video, non è un invito a infrangere i principi dell’Agricoltura Sinergica (come ad esempio “Non disturbare il suolo”), bensì è un pro-memoria, un invito a ricordarci che la cosa più importante è il sentirsi liberi.
Altrimenti che Libera Agricoltura Sinergica sarebbe? 🙂

 


In questo capitolo 14 vediamo la nascita di nuove aiuole nel terreno insediato dal bambuseto che quest’anno ha visto come protagonista il mais multivarietale nel progetto ‘culla genetica’. Dopo la raccolta abbiamo iniziato a preparare il terreno per ricavare delle nuove aiuole sinergiche con le tecniche presentate nel capitolo 1 e 2.
Durante le operazioni di dissodamento con la vanga forca troviamo i rizomi di bambù che tessono una fitta rete molto faticosa da guastare, ma con un po’ di pazienza e di perseveranza ad oggi siamo riusciti a liberare lo spazio per 3 aiuole di cui 2 ospitano l’aglio biancone di romagna e lo scalogno tondo.
Nella terza aiuola finalmente entrano in gioco i bulbi delle cipolle di Alife raccolti questa estate.
Li mettiamo a dimora lungo un solco che percorre tutta l’aiuola, posizionando i bulbi molto fitti. Richiudiamo il solco e speriamo bene, che tutto vada per il meglio. Manca solo da azionare il cippatore e produrre la pacciamatura triturando le potature delle siepi per coprire questa terza aiuola così come sono state coperte le altre due.
Prima però apriamo una parentesi sui semi di mais raccolti dall’esperimento ‘culla genetica’ che per noi è stato un vero successo.
Ebbene, le esperienze ci insegnano che non è sufficiente che il raccolto sia abbondante, poiché è altrettanto fondamentale la corretta conservazione delle sementi. A temperatura ambiente le sementi naturali che non sono state trattate con dei veleni dopo un certo tempo possono essere danneggiate da larve e/o insettini che si schiudono dal loro interno.
Oltrepassiamo la soglia della determinazione e agiamo per trasformare il problema in soluzione, così dapprima valorizziamo tutti i semi rimasti sani e intatti, poi li mettiamo sottovuoto e per ultima cosa li mettiamo in un luogo dove le temperature siano inferiori agli zero gradi centigradi.
Per il momento siamo sprovvisti di un congelatore così li teniamo fuori sotto l’influsso del gelo invernale, ma ci ripromettiamo presto di recuperare un congelatore appositamente dedicato alla conservazione dei semi.
E se da un lato ci occupiamo dei semi da salvare, dall’altro è arrivato il momento di occuparci dei semi da piantare. Siamo arrivati ai primi giorni di gennaio, iniziamo a seminare cavoli, lattughe, aromatiche, sedano, fiori, cardi, carciofi e altro, consapevoli che le basse temperature potrebbero tenere ancora in uno stato di dormienza i semi, ma confidiamo anche nel fatto che in serra quando c’è il sole sembra primavera, quindi forse qualcosa nascerà!
Questa semina ‘di capodanno’ qui a campomadre sta diventando una tradizione gustosa anche perché in base a ciò che nasce e a ciò che non nasce possiamo trarre informazioni importanti dal punto di vista del calendario fenologico. E’ un semenzaio, ma in qualche modo è anche un termometro che ci segnala l’arrivo reale delle giuste temperature per la nascita di una determinata varietà in un determinato momento.
Affianco a questo semenzaio vediamo di sfuggita anche il cassone realizzato recentemente dove ora insalate e scalogno iniziano a trovare il loro posto al mondo. Per concludere facciamo una carrellata su alcune delle aiuole avviate nel capitolo 11 e constatiamo che tutto sta andando bene. Le semine di riempimento di rucola tappezzano il suolo efficacemente. I cavoli, i sedani, gli agli, le cipolle e i piselli crescono lentamente ma inesorabilmente.
Le insalate invece ci forniscono un dato importante: laddove abbiamo scelto di trapiantare i radicchi stiamo vedendo che la crescita è meno rigogliosa rispetto a dove abbiamo scelto di trapiantare le lattughe.
In altre parole stiamo constatando che se ci si trova a fare dei trapianti di insalate in tardo autunno è propizio scegliere le lattughe al posto dei radicchi. Ridendo e scherzando si è compiuto un anno, tante cose sono successe e tante cose ancora devono succedere, ma in questo attimo presente sta succedendo la cosa più importante: arriva un respiro e con esso una nuova possibilità di essere felici